Però, da altra parte, si sostiene che un’opposizione deve vincere con un programma il più possibile coeso e alternativo alla destra: altrimenti anche se vincesse, perderebbe le ragioni della vittoria. C’è bisogno, insomma, che quel campo sia anche “giusto”, non solo “largo”. Perché, se si vince per fare quel che sa fare anche la destra, non vale la pena; e se si vince e poi ci si divide subito sulle cose da fare, la vittoria è inutile e addirittura controproducente. In tal caso infatti si consegnerebbe nuovamente e con maggiore consenso il potere alla destra. E però se si propongono cose troppo alternative, si rischia di non far nemmeno nascere la coalizione.
È questa la strettoia per cui deve passare lo schieramento alternativo: stare unito, però su cose realmente alternative alla destra. Della prima esigenza si fa sostenitrice in particolare Elly Schlein (PD), della seconda soprattutto Giuseppe Conte (5Stelle).
È indubbio che il Pd della Schlein non è un partito coeso, ma ripropone al suo interno una multiformità di visioni (un tempo si chiamavano “correnti) che vanno da un atlantismo/filo ebraismo e un liberismo assoluti fino a posizioni di attenzione alla pace e all’apertura sociale.
La volonterosa Schlein insomma presiede ad un partito che è, in realtà, una confederazione già in se stesso e lei deve perciò fare sintesi al suo interno prima di fare una nuova sintesi con i partiti alleati. È una doppia, spossante fatica che difficilmente la Schlein, ma chiunque altro, può reggere, specie in presenza di vecchi squali di partito che hanno un seguito locale con cui ricattano la Segretaria.
Che se Elly spinge sulle esigenze “moderate” (cioè liberali), non si distingue molto dalla destra e tradisce la sua vocazione riformatrice e spacca il partito (e l’elettorato) sulla sinistra. Se apre alle questioni tipiche della sinistra, soprattutto quelle radicali della pace e della questione fiscale, rompe a destra e con quell’elettorato. E però, per attrarre gli astenuti e i delusi non basta una qualche modesta differenza, ma occorre un programma che abbia qualche elemento di choc e di rottura che sappia scaldare i cuori.
Per questo è difficile creare un campo sia largo sia giusto. Per non dire delle forze minori di opposizione che fanno capo a Calenda e a Renzi, che, come abbiamo visto anche recentemente, nel nome di una cosiddetta terzietà, amano stare ora a destra ora a sinistra, a seconda delle convenienze dei leader, e comunque vogliono dare all’opposizione un colore tutt’al più di destra liberalista. Si dicono contrarie alla gestione autoritaria della Meloni, ma non hanno radici popolari e non sono sensibili alla questione sociale: Puntano ad una efficienza tecnica (Calenda) ma sono affetti da un inguaribile egocentrismo. E con la loro insignificanza numerica, mentre non fanno vincere, riescono però a fare perdere lo schieramento di opposizione.
Per non dire infine che resistono ancora, dentro il PD, antiche posizioni di rendita politica personale che ricattano il partito, ne ritardano il rinnovamento r non lo rendono attraente agli incerti.
In att
È possibile uscire dall’impasse? È possibile creare un nuovo Comitato di Liberazione Nazionale, che tenga insieme tutte le forze di opposizione, con l’obiettivo minimale temporaneo di sconfiggere intanto l’autoritarismo illiberale delle destre? Questo, a mio avviso, sarà possibile quando la destra avrà manifestato pienamente la sua vocazione antilibertaria e il popolo avrà visto le nefaste conseguenze di un degrado politico e, più ancora, di un impoverimento sociale. Ma ci vorrà del tempo, perché – come diceva già acutamente il Machiavelli – un male, al suo inizio, quando lo si potrebbe fermare, è piccolo e pochi lo vedono; i molti lo vedono quando è manifesto, ma allora è troppo tardi perché si è fatto potente, ed è difficile fermarlo. Quindi questa è una strada lunga da percorrere, e spesso dolorosa.
Oppure ci vuole uno sforzo di adattamento di tutte le forze di opposizione: non intorno ad un programma onnicomprensivo, ma intorno a pochi obiettivi di scopo, e però forti e sensibili. Raggiunti i quali, ci si potrà ancora dividere, una volta che sia stato bloccato il pericolo di dittatura di una maggioranza.
Resta comunque difficile individuare quali siano i pochi unificanti obiettivi di scopo. Per noi, che osiamo dirci cristiani, non possono prescindere dalla pace, dalla tutela del cosmo e dalla questione fiscale, che condizionano la sopravvivenza e tutte le altre questioni politiche. Sicuramente questi attirerebbero l’attenzione degli indifferenti delusi. Ma sono in grado di creare unità o sono divisivi, oggi come oggi, dentro l’opposizione?
Le prossime Elezioni europee che, basandosi sul sistema elettorale proporzionale, sembrano fatte apposta per contare il peso delle varie posizioni politiche, senza necessità di fare calcoli di schieramento e di compromessi previi, potrebbero servire a evidenziare il consenso che godono le varie posizioni programmatiche. Purché queste vengano allo scoperto dal magma dei programmi dei partiti e purché la gente vada a votare per contarsi. Ma né l’una condizione né l’altra sono scontate. A noi comunque incombe il compito di testimoniare i valori di umanesimo cristiano in cui crediamo.
E il valore della politica come servizio all’umanità più debole. Sperando che sia magari la storia, con la sua fantasia provvida, a darci una mano a trovare quelle soluzioni che noi col nostro corto sguardo e con gli occhi foderati dall’interesse spicciolo, non intravediamo.
Franco Pizzolato