“Prima ha ucciso il fratello con tre colpi al petto, poi si è chiuso in camera da letto e ha rivolto la pistola contro se stesso”. Patrizio Baltieri, 28 anni, appassionato di tiro a volo, ha ammazzato il fratello Edoardo, quattro anni più giovane, probabilmente dopo un litigio.
I loro corpi senza vita sono stati scoperti sabato sera poco dopo le 19, quando il padre è rientrato a casa. La famiglia Baltieri aveva perso un altro figlio, malato di leucemia, cinque anni fa”.
E si rinnovano le domande, tanto inevitabili quanto scontate, quando succedono fattacci del genere. Sembra che la sventura si accanisca quando sceglie un bersaglio: prima la leucemia, adesso l’omicidio-suicidio dei due fratelli. E ci si chiede chi è rimasto di questa famiglia e come farà a sopravvivere, dopo tutto quello che è successo.
Poi si va a leggere qualche particolare della notizia, anche per capirci qualcosa. Ma più si legge e meno si capisce. “I Baltieri sono quella che si definirebbe una famiglia normale”. Pare che il fratello morto di leucemia facesse da legame tra gli altri due fratelli che tendevano a ignorarsi. Sembra anche che Patrizio avesse la tendenza a chiudersi in casa. Piccole anomalie, forse, ma niente di preoccupante.
Allora la domanda è semplice: come è possibile che in una situazione così – sostanzialmente – normale possa esplodere qualcosa di così anormale?
E siccome non si dispone, al momento, di motivi precisi ci si rifugia in grandi motivi “a monte”. La famiglia e i legami stretti che vi si vivono sono un acceleratore micidiale.
Se ci si vuol bene, ci si vuol bene molto, moltissimo. Troppo, qualche volta, fino ad arrivare a forme di amore possessivo: in quel caso la famiglia, invece di far crescere e di educare all’uso buono della libertà, soffoca e fa restare bambini.
Oppure, nella direzione opposta, se “scoppia il contrasto” e se non si trova qualche correttivo, il contrasto diventa odio, qualche volta irriducibile e devastante. Tutti noi conosciamo casi di odi familiari che, magari per motivi futili – un pezzo di terra o quattro soldi – durano per intere generazioni, tenaci come un tumore. E come un tumore portano alla morte. E si arriva a dare ragione al celebre proverbio che, nel dialetto bergamasco suona: ““Amùr de fredèi amùr de cortèi”. Che potrebbe essere enunciato anche in italiano e conservarvi perfino la sua rima. Ma il dialetto sembra più efficace.
Forse suggerisce meglio, con la sua ruvidezza, quella inspiegabile dose di pertinacia e di caparbietà che porta a questi drammi così anormali in gente così normale.