Qualche “sensazione” natalizia si affaccia sempre alla nostra memoria. Magari sono tra le solite, ma tornano. Una, in particolare. Oggi penso spesso al fatto che il bambino vive solo se accudito. Accudito in tutto. Maria l’ha portato in pancia, l’ha avvolto in fasce (questo ce lo assicura Luca, ma l’avremmo immaginato anche se Luca non ce l’avesse detto), l’ha deposto nella mangiatoia (questo non l’avremmo proprio azzeccato se Luca non ce l’avesse detto). Poi Maria ha dovuto certamente cambiare le fasce, perché il suo bambino aveva tutti i bisogni di qualsiasi bambino, l’ha allattato (anche questo Luca non ce lo dice, ma siamo obbligati a immaginarlo).
Ecco: un figlio può crescere solo se qualcuno fa verso di lui il padre e la madre, se lo accoglie e gli dà quello che gli serve, tutto quello che gli serve per crescere. Il figlio, qualsiasi figlio, è totalmente gratificato e i padri e le madri sono totalmente dediti. Senza questa sproporzione non si dà paternità/maternità e figliolanza. Il Bambino di Nazaret è entrato pienamente in questa logica. È diventato, a tutti gli effetti, un cucciolo d’uomo che cresce solo se lo fanno crescere.
Dio possiamo prenderlo in braccio: è un bambino. Lo prendiamo in braccio e vorremmo parlargli, dirgli tante cose. Noi siamo fatti così: più gli avvenimenti ci superano più siamo presi dal desiderio di capire. Vorremmo capire chi è, che cosa vuole, che cosa ci chiede. Ma il bambino non parla. Che strano: il figlio di Dio che è la Parola non parla. Piange, ride, ci guarda. Nient’altro. Eppure, nonostante quello strano mutismo, tutti i genitori che hanno avuto un bambino dicono che quel cucciolo d’uomo ha sconvolto la loro vita. Dopo il suo arrivo niente è più come prima. Dunque, il bambino dà moltissimo senza dire nulla.
E soprattutto, di fronte al bambino che non parla, tutti parlano. Succede così perché il bambino dà moltissimo solo perché c’è. Soltanto, bisogna accogliere la sua presenza. Perché se noi, che lo abbiamo in braccio, non lo accogliamo, il bene enorme della sua presenza non conta nulla. È come se non ci fosse. Succede anche a tanti bambini nel mondo. Non danno nulla perché non c’è nessuno che li accolga, che ascolti il loro pianto e che goda dei loro sorrisi.
“Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere»”. Dunque, gli angeli se ne vanno. Restano i pastori. I pastori: personaggi screditati, non osservanti, ladri. Sono loro che prendono il posto degli angeli.
Come è strano il vangelo. Sarebbe così logico che gli angeli continuassero a cantare, come loro sanno fare e invece restano i pastori che, è vero, “se ne tornarono, glorificando e lodando Dio”: magari cantavano pure. Ma non dovevano essere molto intonati e i canti sgangherati dei pastori prolungavano i canti affascinanti degli angeli. E’ la logica strana del Dio Bambino: le voci stonate degli uomini che devono annunciare la parola dolcissima della sua divina condiscendenza.