Ho partecipato di recente alla celebrazione di un matrimonio tra due giovani, figli di amici da lungo tempo. Una cerimonia ben preparata e curata nella scelta delle letture, nell’esecuzione dei canti, nelle preghiere dei fedeli. Non tutto però è ovviamente a discrezione degli sposi; le preghiere della benedizione nuziale, ad esempio, sono quelle previste dalla liturgia che tra l’altro recitano:
“In questa tua figlia, nome della sposa, dimori il dono dell’amore e della pace e sappia imitare le donne sante lodate dalla Scrittura. Nome dello sposo, suo sposo, viva con lei in piena comunione, la riconosca partecipe dello stesso dono di grazia. La onori come uguale nella dignità, la ami sempre con quell’amore con il quale Cristo ha amato la Chiesa.
Nell’anno del Signore 2024 una giovane donna che si sposa deve ancora chiedere, sperare, attendere che il marito le riconosca il suo stesso dono di grazia e che la consideri pari in dignità. Deve avere come modello le donne della scrittura ma a quanto pare non è primario che abbia come modello gli uomini. Può una trentenne di oggi accettare che la Chiesa preghi per lei ancora con queste parole?
Mi scorrono davanti agli occhi le immagini del bel film di Paola Cortellesi – C’è ancora domani– che ha avuto tanto successo anche perché la richiesta di riconoscimento di dignità e di parità tra uomo e donna che veniva denunciata nel 1946 ha evidentemente ancora degli strascichi che permangono fino ai nostri giorni. Sicuramente in ambito ecclesiale.
Nel frattempo ci si sposa ugualmente, nell’attesa che anche la Chiesa porti a compimento il lunghissimo e faticoso percorso che porta all’effettivo riconoscimento e attuazione della parità delle donne. E qui corre l’obbligo di dire che tale cammino è in pieno svolgimento grazie al Sinodo sulla sinodalità. Forse.
Forse, perché sono arrivati dai lavori sinodali segnali di valenza opposta. Da un lato il sinodo della chiesa universale ha attivato uno specifico gruppo di studio incaricato di valutare «il posto delle donne nella Chiesa e la loro partecipazione ai processi decisionali e alla guida delle comunità». Gli esiti di tali lavori sono sintetizzati ai punti 13-18 nell’Instrumentum Laboris di recente pubblicazione, che farà da guida per il seguito del sinodo ovvero la seconda sessione della XVI Assemblea generale ordinaria dei vescovi, in programma dal 2 al 27 ottobre prossimi.
Nel documento si sottolinea la necessità di dare un
riconoscimento più pieno ai carismi e alla vocazione delle donne” dato che, “in forza del Battesimo sono in condizione di piena uguaglianza”. Di conseguenza viene chiesta “una più ampia partecipazione delle donne nei processi di discernimento ecclesiale e a tutte le fasi dei processi decisionali” insieme a “un più ampio accesso a posizioni di responsabilità nelle diocesi e nelle istituzioni ecclesiastiche”. Dunque la strada è aperta per operare “un cambio di mentalità”, con “una conversione a una visione di relazionalità, interdipendenza e reciprocità tra donne e uomini, che sono sorelle e fratelli in Cristo, in vista della comune missione.
In definitiva si intende operare verso una maggiore presenza delle donne nei posti di responsabilità e decisionali: posti di potere. Bene o meglio, speriamo in bene. Perché a mio avviso le parole dell’Instrumentum Laboris che, ricordiamolo, costituiranno alla fine solo una indicazione ed un auspicio che dovrà comunque passare al vaglio e all’approvazione del Papa, non risolvono il nodo circa ”la condizione di piena uguaglianza in forza del Battesimo”.
Infatti una differenza evidente permane riguardo l’ammissione delle donne al diaconato dato che “a causa della contrarietà di alcune Chiese locali, l’argomento non sarà oggetto dei lavori e si invita a proseguire la riflessione teologica”. Inoltre a questo proposito, come è già stato riportato da altri anche su questo blog, Papa Francesco stesso è intervenuto direttamente il Maggio scorso dichiarando un netto no all’ordine sacro del diaconato alle donne. Per inciso faccio notare che questo “strappo” al metodo sinodale, ovvero pronunciarsi ufficialmente su un tema in fase di discussione proprio da parte delle commissioni del sinodo, rischia di screditare pesantemente quello che dovrebbe diventare un nuovo stile di essere Chiesa.
Rispetto al diaconato femminile è essenziale chiedersi se il superamento della discriminazione nei confronti delle donne costituisca la chiave di volta nel raggiungimento della condizione di piena uguaglianza o se si tratti piuttosto di un requisito non vincolante, al quale si può in definitiva rinunciare. E’ interessante notare che il Papa per sostenere il suo pronunciamento ha fatto riferimento al “principio mariano-petrino” elaborato del teologo Urs Von Balthasar. Un criterio presente nel Magistero degli ultimi quattro Pontefici attraverso cui si afferma il rapporto di stretta reciprocità tra maschile e femminile all’interno della Chiesa e che si incentra sull’identificazione da un lato del femminile con domestico, interiore, accogliente, spirituale e dall’altro del maschile con la ministerialità, l’autorità, il potere.
Un tema complesso che evidentemente richiede un approfondito lavoro di studio a cui per la verità diversi teologi si stanno dedicando con diverse pubblicazioni anche recenti e dibatti su testate specializzate. Molti di loro sottolineano che, al di là delle dichiarazioni di principio contenute nell’Instrumentum Laboris, non è più accettabile un’impostazione teologica che concepisce ancora la differenza sessuale in termini gerarchici. Il teologo Andrea Grillo, che ha studiato a fondo l’argomento ha commentato: “La valutazione dell’accesso della donna al diaconato non può dipendere dal pregiudizio che “sa” che la donna non è fatta per avere autorità pubblica. La riserva maschile non ha alcun fondamento dottrinale, neppure per i cattolici.”
L’aver chiuso le porte al diaconato femminile non è quindi affatto marginale e non è un buon segnale per le donne e per la Chiesa tutta.
1 Comment
Almeno papa Francesco, a differenza di Giovanni Paolo II, invita a proseguire la riflessione, e quindi il confronto. Convengo; per me non si tratta di problema teologico, ma di rapporto con altre chiese ancor più inchiodate al passato. Credo comunque che il problema più impellente sia il rapporto fra presbiteri e laici. Una chiesa con del clero anche femminile non lo risolverebbe.