
L’Eco di Bergamo di domenica scorsa, pubblica la lista dei nuovi incarichi di curia scelti dal vescovo che diventeranno operativi il prossimo mese di settembre.
Don Luigi Paris, delegato vescovile, commenta l’evento con un articolo in cui spiega motivi e criteri della riforma. Don Paris insiste sul carattere sinodale che segna le nomine e in particolare parla di “un coinvolgimento ancora più decisivo di persone laiche”.
I settori “apicali” della Curia sono gestiti o dai vicari episcopali o dai delegati episcopali. Il vicario gode stabilmente dell’incarico nel settore in cui opera; il delegato vescovile agisce solo su delega del vescovo dal quale dipende direttamente.
Ora, si impone, nettamente, un dato: i preti restano in una schiacciante maggioranza. Stiamo alla lista pubblicata nel numero dell’Eco di Bergamo citato. Dei vicariati i nomi citati sono sei, alcuni c’erano già, altri sono nuovi, ma sono tutti di spettanza ecclesiastica. Sotto il nome di “Delegati vescovili”, appaiono quattro nomi nuovi per le diverse “terre esistenziali ”: sono tre sacerdoti e un laico: il dottor Giuseppe Giovannelli. Poi ci sono undici direttori di uffici: un diacono (Simone Americano, direttore dell’ufficio per la Pastorale dei Movimenti Religiosi Alternativi), un laico (il dott. Stefano Remuzzi, direttore dell’Ufficio per la Pastorale Sociale e del Lavoro) e nove preti. La lista ufficiale precisa anche gli incarichi confermati: sono undici nomi di cui due laiche (dottoressa Laura Capitoni, ufficio legale e la dottoressa Daniela Noris, ufficio per la pastorale scolastica).
Trentadue nomi. I laici sono quattro: poco più del dieci per cento
Nel complesso, nella lista degli incaricati nuovi o rinnovati, ci sono trentadue nomi. I laici sono quattro: poco più del dieci per cento. Conclusione: la struttura centrale della curia di Bergamo è fortemente clericale (naturalmente, si sa che diversi laici e laiche lavorano in curia, ma qui si sta parlando dei responsabili). Se la “promozione dei laici” è un tratto fondamentale della sinodalità della Chiesa, si deve dire che la “nuova” curia di Bergamo è poco nuova e poco sinodale.
Alcune note su chi non c’è più. Sparisce don Mattia Magoni, che era direttore dell’ufficio pastorale delle comunicazioni sociali dal 2019 e quindi avrebbe potuto essere confermato. Non c’è più don Fabrizio Rigamonti che, però, era in curia dal 2013. Non appare don Della Vite, il potente – e molto “presente” – addetto stampa, anche lui in curia dal 2013. Può darsi che Della Vite non ci sia perché si dà come scontata la sua riconferma. Non sappiamo.
Si dovrebbe poi entrare in merito ai nomi e agli incarichi affidati. Difficile, naturalmente. Mi limito a una osservazione. Nei decenni passati della Chiesa di Bergamo si avviavano alcuni preti a discipline non direttamente teologiche ma utili per la pastorale: pedagogia, psicologia, scienze dell’educazione, sociologia, giornalismo… Se si va sulla “guida della diocesi”, si trova la lista dei preti con diversi titoli accademici non direttamente teologici. Ce ne sono anche nei settori che ho appena citato. Molti di loro sono anziani, laureati molto tempo fa. I giovani o quasi giovani sono quasi in attività pastorali.
Forse oggi si dovrebbero preparare più preti che si specializzano proprio perché diminuiscono. Per preparare il futuro
Diversi nuovi responsabili non possiedono titoli specifici per il compito loro assegnato. Questo non significa che “non ci sappiano fare”. Ma lascia perplesso il fatto che per trattare e gestire iniziative circa problemi di famiglia, di catechesi, di mondo giovanile, di comunicazioni sociali, di beni storico-artistici… basta essere un bravo prete. Il rischio che si chieda troppo a chi non è obbligato a dare, esiste. Mentre esiste una scollatura fra chi ha il titolo ma non esercita e chi esercita e non ha il titolo. La professionalità, nella curia di Bergamo, non è necessaria, per lo meno, non lo è più. E’ diventata un lusso inutile.
Forse questo è un altro segno della crisi della figura della Chiesa e del prete. La Chiesa si avvita su se stessa e si preoccupa soprattutto di conservarsi. Per conservare se stessa bastano degli onesti manovali. Le grandi idee e i grandi pensatori non servono. Anzi, possono perfino essere un danno. I preti, da parte loro, sono meno e quindi diventa normala che meno preti studino e si specializzino. Resterebbe da discutere su questa “inevitabile” conseguenza: meno preti quindi meno studiosi. Perché si potrebbe ipotizzare – almeno ipotizzare – il rapporto inverso. Proprio perché i preti diminuiscono si assicurano competenze che aiutino la Chiesa del futuro ad assolvere i compiti che le sono necessari: meno preti quindi più competenti. Per preparare una Chiesa che verrà dove i competenti saranno certamente ancora alcuni preti ma soprattutto molti laici, molti di più del dieci per cento della curia di oggi.