
Visto l’eco delle riflessioni generate dall’articolo sul celibato e castità dei sacerdoti e il dibattito che si è generato credo di continuare ad alimentare la riflessione anche alla luce dei tanti rimandi ricevuti. Voglio soffermarmi di volta in volta su alcuni, riprendendo anche i vari contributi. Ribadisco che in questa rubrica si affrontano le questioni ragionando a partire dall’esperienza, dal dato di realtà mio e delle tante situazioni incontrate in tanti anni.
Parto da una premessa non esplicitata nel primo articolo. Noi crediamo in un Dio che è Padre e ci ama di un amore gratuito, che ci libera dal dover essere, dall’ansia di prestazione. Ci libera anche dal dover difenderci e meritare l’amore e la stima altrui, dal dover imporre noi stessi. Chiama tutti a stare al mondo nella gioia e nella gratitudine per il dono della vita e della creazione. Ci chiede di entrare in una dinamica di dono di sé, vivendo nella autenticità, libertà, con coraggio, creatività, generosità e generativi di bene.
Crediamo che la preghiera, la meditazione della Parola, siano fondamentali per la vita. Coltivare la relazione con il Dio della vita vera è la relazione più importante e fondamentale nella vita. In questa relazione coltivata con la preghiera e la meditazione si può fare esperienza concreta di un Padre che sana le ferite. Non solo, ma che consola, rialza, sprona, incoraggia e sostiene le scelte più autentiche, coraggiose e generose (che lasciati a noi stessi non saremmo in grado di compiere).
Questo vale per tutti e certamente per i sacerdoti.
Circa il sacerdozio: Crediamo che l’unico Sacerdote è Gesù e noi partecipiamo dell’unico sacerdozio con il battesimo. Qualcuno è chiamato a servire la Comunità in modo ministeriale (Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1547 e Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica Lumen gentium, 10).
Dire che Dio chiama qualcuno a servire la comunità in modo ministeriale non vuol dire che quanti sono chiamati a questo servizio debbano essere celibi e casti. Questa è una scelta che ha fatto la Chiesa Cattolica Latina (cfr. Lettera enciclica “Sacerdotalis Cælibatus” di S.S. Paolo VI). Di cui le ragioni teologiche, spirituali ed amministrative non credo siano sufficienti oggi né a giustificare questa scelta né a sostenere i sacerdoti in questa modalità.
Credo che il binomio celibato/castità vissuto come scelta libera e come dono carismatico sia una ricchezza enorme per la comunità e sia molto fecondo per il bene di tante persone. Tantissimi lo vivono in modo sano, gioioso e generativo. Benissimo! Lodiamo Dio per queste persone! Ma spesso non è così. E bisogna dirlo e ribadirlo per mettere in moto dei cambiamenti. Riprendo alcuni punti.
Non è vero che la scelta del celibato/castità sia così libera solo per il fatto che una persona sa a cosa va incontro. Per vari motivi. La castità viene di fatto percepita come parte di un pacchetto da assumere in toto da parte di chi si sente chiamato a servire la comunità. Chi si fa prete evangelizza, conforta, predica, accompagna le persone anche con i sacramenti. Preso dallo slancio autenticamente generoso pensa di poter vivere celibato e castità in modo positivo. Ma non è sempre così. E la questione non la si risolve pregando di più (che è sempre utile). Si devono invece affrontare i problemi intrinseci che derivano dal fatto di non essere nella situazione di scegliere e dal modello concreto offerto dalla Chiesa attuale.
Inoltre va considerato come le motivazioni siano sempre “miste” (in tutte le scelte, ma qui parliamo del sacerdozio). Insieme a quella principale – più evidente, più onorevole, più generosa – ce ne siano altre meno evidenti, meno libere e meno sane. Ad esempio: si cerca di avere un ruolo nella società. Oppure si tende a compiacere le aspettative degli altri. Oppure ancora si vuole essere “amabili” per ottenere i propri scopi. In alcuni casi si vuole trovare una veste dignitosa e rispettabile o alla propria omosessualità o alla proprio personalità con problematiche di vario tipo, ecc.
E come non dire di quante volte nella pastorale vocazionale si è fatto leva proprio sulla generosità delle persone o sull’orgoglio. Si è così arrivati a veicolare in modo implicito od esplicito la convinzione che la scelta della consacrazione fosse una sequela più vera, più dignitosa, più radicale del Signore Gesù? Una perversione del messaggio cristiano. E dobbiamo ribadire che non è così! O, meglio, si deve dire che questo è vero per ogni cristiano in qualsiasi stato di vita che prende sul serio la sequela del Signore.
Come molti hanno commentato, tutto ciò rimanda alla selezione, alla formazione e all’aiuto al discernimento da parte dei formatori. Ma anche ad un ripensare le categorie teologiche e spirituali di riferimento.
Nei prossimi articoli riprenderemo gli altri punti (affettività, senso del celibato, struttura della Chiesa, nuove figure…) facendo anche sintesi delle interessanti riflessioni che ci sono giunte. Ognuno di voi può contribuire ad arricchire con le proprie riflessioni questa rubrica.
2 Comments
[…] con queste note fare eco ai due articoli di padre Francesco Cavallini, gesuita, che su questo nostro blog ha offerto riflessioni profonde e coraggiose sul tema, assai […]
Come padre,marito, nonno , medico,laico…rifletto. o cerco di farlo. Qualsiasi servizio impone scelte e rinunce. In proporzione a ciò che ci si assume scegliendo. La credibilità di ciascuno si basa su ciò che vive testimoniando e testimonia vivendo. Pensiamoci.