
Sono appena tornato dalla grandiosa, solenne cerimonia di consacrazione dei nuovi preti. Sono nove. Duomo gremito all’inverosimile. Si è respirata un’atmosfera di intensa commozione che, più volte, è venuta fuori, nei protagonisti, in qualche familiare, in amici. E si capisce.
Non solo c’erano molte persone, ma molti tipi di persone. C’erano anche molti giovani, evidentemente amici e conoscenti dei nuovi preti.
Delle svariate cose che si potrebbero dire di un evento così, mi pare particolarmente interessante quello che, in fondo, è il più ovvio: il suo forte, fortissimo carattere popolare. E il fortissimo carattere popolare della liturgia mostra in maniera evidente il carattere popolare dell’insieme del cristianesimo della nostra diocesi.
Semmai c’è da dire che questo volto popolare lo si vede soprattutto in circostanze eccezionali come questa. Mentre nelle normali liturgie delle nostre parrocchie fatica a farsi notare. Sono, queste, liturgie spesso spaesate, con relativamente pochi partecipanti: si fatica a vedere in molte di queste messe un evento di popolo, la presenza di una comunità con le sue sfaccettature diverse, varie, variopinte.
Questa è la stranezza che la solenne liturgia di oggi rivela e denuncia: l’ordinario – una comunità varia e diversa che si riunisce per celebrare – è diventato straordinario.
Mentre sto scrivendo, alle 19-45 di questo giorno, 27 maggio – i nove sacerdoti i “noivelli” verranno accolti nelle loro comunità e comincerà la festa. Saranno feste, anch’esse sentite, in cui, in occasione di uno di casa che diventa prete, la comunità fa festa non solo a lui ma anche a se stessa. Gli stessi aspetti più folcloristici di queste feste – i preti nuovi arriveranno in bici, in moto, in macchine scoperte, in barca… – anche questi aspetti folcloristici sono importanti non tanto per il carattere spettacolare delle trovate, ma perché, con quelle trovate, si vuole dire che è proprio festa ed è proprio festa per tutti.
Anche i molti preti che sono intervenuti alla cerimonia, appaiono qui non a capo di una comunità ma dentro una comunità più vasta e delle altre parrocchie e, soprattutto, della diocesi.
Dopo aver vissuto un momento di grazia così, viene spontaneo pensare che forse uno dei problemi più gravi per la Chiesa di Bergamo e non solo per quella di Bergamo è quella di reinventare questo spirito di popolo e di riproporlo come vivibile in un mondo diverso da quello in cui tutto avveniva all’ombra del campanile.
In questo senso, le molte feste di questi giorni sono anche una sfida. Con la speranza che, da qualche parte, si riesca anche a vincerla.