Il giornale della diocesi, l’Eco di Bergamo, deve dare una notizia che riguarda la vita della diocesi che è già stata data. La dà senza citare la fonte. E la fonte, in questo caso, è un settimanale laico, Araberara. Araberara ha dato la notizia perché la diocesi stessa gliel’ha fornita in anticipo. Non si sa perché è non si sa da chi. Chi dovrebbe sapere non dice. In effetti, il responsabile dell’informazione, Mons. Giulio della Vite, che dovrebbe spiegare, non spiega. Coloro dovrebbero decidere verso un servitore forse, si spera, soltanto un po’ distratto – vescovo e vicario – non parlano. Almeno per ora. Si spera in una qualche presa di posizione, che dovrebbe essere pubblica, come pubblica è stata la fuga di notizie. Si spera.
Si dovrebbe convocare una conferenza stampa, dare le notizie che si intendono comunicare. E se si vuole e chi vuole le pubblica
Dunque. Se si fosse deciso uno stile nuovo, consono ai nostri modi correnti di comunicare, si sarebbe dovuto convocare una conferenza stampa, alla quale tutti gli organi di informazione sarebbero invitati. Si comunicano le notizie che si intende rendere pubbliche e ognuno le pubblica se, come e quando vuole. No, niente conferenza stampa, si passa una notizia a un organo esterno, non si spiega ne il come né il perché né il chi.
Il “popolo di Dio” – o se vogliamo essere meno solenni – l’opinione pubblica avrebbe diritto, semplicemente, a un rispetto. E un po’ più di rispetto vorrebbero avere i preti coinvolti e le parrocchie direttamente interessate.
Uno stile così poco nobile per dare una notizia comunque importante: nuovi incarichi, cambiamenti nelle parrocchie. Antiche storie ricche di persone e di cose, finiscono, altri storie certamente piene di speranze, cominciano.
C’è solo da dire ammirazione e a chi lascia e a chi prende.
Ma, proprio per la bellezza e l’importanza della cosa, una domanda che mi preme molto ma che è, anche, banalissima: in che misura le parrocchie interessate sono state davvero interessate da parte del vescovo, del vicario generale e dei loro collaboratori? Sto parlando delle parrocchie, non del parroco che se ne va o quello che arriva. Questi sono stati interessati, ovviamente. Ma chi è stato coinvolto nella decisione, oltre a loro?
Una volta, in tempi non lontanissimi i “capifamiglia” sceglieva il loro parroco
Immagino facilmente la risposta: mica si può fare una assemblea parrocchiale per scegliere il parroco. Certo. Ma nelle parrocchie esistono i consigli parrocchiali, i consigli per gli affari economici, i consigli dell’oratorio, i catechisti… A questi non è possibile chiedere il nome del candidato, ma non è impossibile chiedere quali sono i problemi e le possibilità di quella parrocchia. In modo che chi deve scegliere il nome tenga presenti e i problemi e le possibilità. Mi pare un po’ strano il fatto che, siccome non si può chiedere a tutti, si è deciso di non chiedere a nessuno.
(A proposito di scelta dei parroci e di assemblee. Nella diocesi di Bergamo esistevano diverse parrocchie che godevano del diritto di nomina dei loro parroci. I “capifamiglia” si riunivano, sceglievano democraticamente il nome del loro parroco, oppure mettevano insieme una terna da cui il vescovo sceglieva. Le ultime parrocchie che hanno rinunciato a questo antico diritto lo hanno fatto con mons. Clemente Gaddi, attorno agli anni ’70 del secolo scorso. Mica ai tempi di Carlo Códega).
Questo particolare della vita della Chiesa non è trascurabile. Dietro sta una domadina piccola piccola. Questa: che Chiesa vogliamo costruire, per oggi e per domani? Che ruolo vogliamo che abbiano i laici? I laici devono limitarsi a prendere atto o possono contribuire a decidere? Cosa possono decidere? Anche perché i laici, in una parrocchia, per lo più restano, i preti cambiano e cambiano sempre più con il passare degli anni. Ora dobbiamo prendere atto che la grande girandola dei preti, questa e le altre che sono venute prima è questione di preti: tutto o quasi avviene negli uffici di curia.
I parroci cambiano, i laici restano. Eppure i laici continuano a essere sostanzialmente ignorati
Ne parlo con un amico e mi dice: “Però prova tu a dover decidere decine di parrocchie, con esigenze diversissime, con preti che hanno i loro problemi, le loro domande e talvolta le loro pretese…”. L’amico mi parla con il tono di uno che è sicuro di avere ragione.
Ma, dal basso della mia ingenuità, mi elaboro una mia ingenuissima considerazione. Se l’amico ha ragione significa che la Chiesa è così e così deve rimanere. Prendere o lasciare. Ecco: mi sembra la peggiore conclusione possibile. Una Chiesa che non può fare altro che non fare niente, temo non abbia molto futuro. Non solo per i criteri di designazione di preti, ma anche per tutto il resto.
Si potrebbe anche porre lo stesso problema con una domanda “attuale”. Che cosa c’è di conciliare in tutto questo? Che cosa c’è di sinodale? Poco. Molto poco, mi pare. Si deve prendere atto di un singolare paradosso: le piccole parrocchie che sceglievano, nei secoli scorsi, i loro parroci erano più “conciliari” delle parrocchie postconciliari di oggi. Strano, molto strano, mi pare. Tanto strano che varrebbe la pensa pensarci un poco.
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