Accettare la legge. Superare la legge

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Francia: la “libertà garantita” all’aborto.
Lo strano diritto del rifiuto alla vita.
I cristiani di molti secoli fa: le leggi di “Babilonia” e la pace sociale

Stavo accingendomi ad abbozzare qualche nota sulla drammatica sorte del popolo palestinese quando è piombata in prima pagina la notizia della costituzionalizzazione del diritto di aborto in Francia, secondo il dettato: “La legge determina le condizioni nelle quali si esercita la libertà garantita alla donna di fare ricorso all’interruzione volontaria della gravidanza”.

L’aborto come “diritto” in una Costituzione

Pur conscio dei rischi d’una reazione a caldo, oso affrontare questa notizia. Non perché sia più drammatica o urgente della prima, ma perché si presenta orgogliosamente, alla francese, come un primato nella legislazione dei popoli. La quale fino ad ora aveva garantito la vita e ammesso la possibilità di aborto a certe condizioni. Pensavamo che la legislazione avesse trovato un suo punto d’assestamento, anche perché la denatalità galoppante aveva svelenito almeno l’argomento della insostenibilità della sovrappopolazione (almeno nell’Occidente) fino al punto da far paventare a qualcuno una sostituzione etnica.

Pensavamo che la legislazione avesse trovato un suo punto d’assestamento, anche perché la denatalità spaventa ormai più della sovrappopolazione

Anche il mondo cristiano ormai s’era acconciato ad una legislazione così modulata che alleviava pur sempre dei casi-limite dolorosi, permettendo comunque di salvaguardare una propria, peculiare (cristiana) risposta etica al problema e ferma restando, in essa, la libertà di obiezione di coscienza degli operatori sanitari. 

So che sto dannatamente semplificando, ma non mancherà occasione di riflettere, concetto per concetto, parola per parola, sia sul problema sia su questa formula francese: in specie su quel participio “garantita”, che a qualcuno sembra studiato apposta per annullare l’obiezione di coscienza. Ma grande peso va dato soprattutto all’assunzione del principio dell’interruzione volontaria della gravidanza come “diritto” in una Carta Costituzionale: e questo mi pare il fatto simbolicamente più rilevante. 

La corsa ai valori individuali e la grandeur francese

Era necessaria questa accelerazione? Va detto, per vero, che l’obiezione di coscienza spesso – e non sempre per limpidi motivi di coscienza – ha paralizzato l’attuazione della cosiddetta legge sull’aborto, e ciò può avere suggerito l’idea di quella “garanzia”. Ma forse è più realistico pensare ad un proseguimento, per ora inarrestabile, della corsa dei valori individuali nella società postmoderna, che non tollera intralci esterni alla volontà di autodeterminazione del singolo (e ora, in particolare, della donna che se ne sta guadagnando faticosamente l’acquisto).

Certo, è triste pensare, dopo due millenni di tradizione cristiana, di difendere come diritto fondamentale dell’essere umano, al pari di liberté, fraternité, égalité, il rifiuto della vita. Resta comunque quella riserva della determinazione delle condizioni nelle quali si esercita” quella libertà senza che essa cada nell’arbitrio. Il che accentua la natura di manifesto della legge, che risponde alla voglia di primato che spesso affligge la grandeur francese. 

Come è strano questo nuovo “diritto” dopo due millenni di tradizione cristiana!

Come reagisce la coscienza dei nostri cristiani comuni? Ad essi – sconvolti o rassegnati o piuttosto indifferenti che siano – vorrei offrire qualche spunto di riflessione, traendolo dal bagaglio di attrezzi a me più abituali, per alimentare un atteggiamento di serenità non disgiunto da serietà. Non farei ricorso agli strumenti, pur nobili e seri, come il diritto naturale: essi funzionavano bene nel regime di pensiero forte e di cristianità e quando il loro valore era già evidente alle coscienze (e allora, a ben vedere, erano superflui). Inutile invocare l’aiuto d’una legislazione nazionale restaurativa (tipo: Dio, Patria, Famiglia), a sostegno d’un costume che la contraddice nel momento stesso in cui la propone e finge di credervi. Lo schema ruiniano e autoritario non ha mai funzionato a migliorare il costume. 

Il cristianesimo quando non era al potere

Una lezione più adeguata ci può venire dall’atteggiamento assunto dal cristianesimo non quando era al potere, ma quando, come ora, era in minoranza, culturale e politica. Quando, come ora, la fede cristiana risultava paradossale al sentire comune. I cristiani pochi e ininfluenti non immaginavano uno Stato confessionale, e noi oggi lo abbiamo da tempo abbandonato. Quale era l’atteggiamento di quegli uomini di fronte alla legge dello Stato che in molti punti contrastava con la loro coscienza fedele?

Diamo la parola ad uno di loro, vissuto alla fine del sec.II, cioè in tempo di difficoltà e però vicino al messaggio originario:

I cristiani si sposano come tutti, generano figli, ma non espongono i neonati. Sottostanno alle leggi stabilite, eppure col loro comportamento superano le leggi” (a Diogneto, 5, 6.10).

Come si vede, quei cristiani vivevano la vita di tutti, ma… Avevano figli, ma non si sognavano di sbarazzarsene. Vedevano la negatività delle leggi, ma non osavano ancora immaginare che la città avrebbe sposato le loro leggi e sapevano anzi, fin dall’inizio, che le leggi della città sarebbero state sempre e comunque inferiori alle leggi del Regno del loro Dio. Inutile gridare allo scandalo: le accettavano per non infrangere quella pace sociale (la pace di Babilonia, come la chiamerà S.Agostino) che è la dose d’amore possibile per tenere unita la città di tutti. Eppure non rinunciavano a contestarle, mediante un comportamento che metteva in crisi la legge perversa, e mostrava la bontà d’una nuova legge che faceva avanzare in umanità la città e la sua legislazione. E creavano una cultura di vita conforme alla loro fede: quella cultura che la nostra epoca ha smarrito e che non possiamo pretendere che l’umana legge ce la restituisca senza un impegno etico di re-insediamento mediante una opera di persuasione, lunga presumibilmente quanto lungo è stato il processo di smarrimento. 

L’impegno per una rete di prossimità amicale

È un compito lungo che ci attende, che deve accettare la complessità e di misurarsi nelle tante agorài di discussione, declinando le nostre ragioni alla pari. Partendo magari da un terreno più condiviso di quello dell’obbligo etico-religioso che ora divide: cioè sostenendo una organizzazione sociale che permetta di conciliare il ministero generativo ed educativo con la valorizzazione dell’autonomia della donna, che la sta faticosamente guadagnando e non vuole perderla. E non sembri riduttivo che un discorso, che pur tocca il fondo dell’origine dell’umanità e dei suoi legami relazionali, si faccia politico e assuma la logica anche di schieramento. È il nobile destino dei veri problemi umani. 

La scommessa di sostenere una organizzazione sociale che permetta di conciliare il ministero generativo con l’autonomia della donna

Ma, in ultima istanza, non si deve perdere la fiducia nella forza di resistenza della coscienza umana che, una volta magari solennemente rassicurata nei suoi diritti, sappia obbedire a quelle leggi di trasmissione della vita e di accoglienza di chi si affaccia ad essa, che smuovono, anche emozionalmente, le attitudini umane di cura paterna e materna. E che non potranno non ricondurre quel diritto di interruzione solo ai pochi casi seri e dolorosi la cui soluzione rende una legge più misericordiosa. E che ad alleviare o a ridurre serviranno una organizzazione di sostegno sociale e una rete di prossimità amicale in cui devono eccellere le comunità cristiane, specie in periodo di indebolimento dello Stato sociale. 

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Lizzola

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