“Nel corso di questa legislatura è l’unica volta che una Legge ha avuto l’unanimità delle due Camere del Parlamento. Quando la Legge è venuta in discussione a Palazzo Madama ho detto ai miei colleghi: “in questa Aula il giorno in cui sono state approvate le Leggi Razziali c’erano 351 deputati: tutti hanno votato a favore, in un clima di urla, grida, applausi e battimani, senza nessuna eccezione e astensione. Oggi noi siamo 433: vi chiedo 433 voti perché non si tratta di dividerci, si tratta di concentrarci su questo pensiero: ciò che è avvenuto è stato un delitto italiano. E’ vero che il nostro voto di oggi non cancellerà nulla di quell’orrore però almeno sarà un simbolo che noi consegniamo ai più giovani per dire loro: non è vero che noi non abbiamo capito ciò che è successo, lo abbiamo capito e ci abbiamo pensato e ci impegniamo a ripensarci ogni 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz”. Con sole due astensioni (che, per il Regolamento della Camera non intaccano l’unanimità) quell’unanimità mi è stata data. Anche quei colleghi di forze politiche diverse, che spesso, ragionevolmente, ricordano altre terribili disgrazie, hanno ritenuto che l’argomento fosse valido.”
A parlare così è Furio Colombo, promotore della Legge, promulgata definitivamente il 20 luglio del 2000, che istituisce, anche in Italia, il “Giorno della Memoria”.
Significa mettere un punto fermo. Significa dire che certe cose sono accadute e che queste cose ci hanno cambiato per sempre. Questo non può essere un omaggio alle vittime: chi ha autorità e la possibilità di farlo? E’, piuttosto, un invito per coloro che sono vivi, liberi, cittadini oggi della Repubblica Italiana perchè sappiano che cosa è successo. Lo devono sapere non tanto per la semplice e vera frase che “chi non ricorda le cose accadute è destinato a ripeterle” quanto per il fatto che quello che è avvenuto è stata una tragedia politica ma, soprattutto, una tragedia morale del Paese.
Nel senso che la discriminazione razziale, nei modi in cui è stata eseguita, con le Leggi Razziali Italiane, è stata un vero e proprio progetto culturale, dove la parola “culturale” non deve suonare un ornamento ma deve ricordarci la gravità della tragedia. Vuol dire che persone colte e intelligenti, dotate di tutta la capacità di sapere la storia, di conoscere le radici europee, le radici religiose, hanno partecipato ad un progetto di sterminio di un popolo, mentre, nello stesso, altre persone, colte e informate pure loro, hanno taciuto.
Certo, c’era un clima di intimidazione, c’era la mancanza delle libertà più elementari, ma c’era – e questa è la cosa da ricordare maggiormente – l’immensa onta di opportunismo che ha fatto tacere tanti cittadini che sarebbero stati in grado di parlare e di essere ascoltati: docenti universitari, poeti, scrittori, giornalisti. Essi hanno taciuto e hanno accettato come naturale ed equo, il più ignobile gruppo di leggi che questo paese abbia mai avuto. Per cui abbiamo assistito al vergognoso spettacolo di professori universitari che si sono impadroniti delle cattedre che erano rimaste libere; di Direttori Didattici che hanno letto l’elenco dei bambini espulsi senza battere ciglio; di maestri che non hanno accompagnato i loro bambini ebrei all’uscita della classe; di vicini di casa che non hanno mostrato lo sconcerto e lo sconforto. Coloro che potevano dire che la cosa non era solo orrenda ma anche grottesca perché si trattava di privare dei diritti umani e civili cittadini italiani altrimenti non distinguibili se non per identificazione culturale-religiosa, non l’hanno fatto.
E’ vero. Qui occorre fare una distinzione grandissima tra gli italiani che contano e hanno taciuto, dando un esempio spaventoso di opportunismo e i cittadini sconosciuti che hanno provato da soli e in silenzio tutto l’orrore, hanno visto l’incredibilità di quanto andava succedendo, e si sono dati da fare. Come si sono dati da fare le suore, gli ordini religiosi, i preti: insomma, le piccole persone di tutto il Paese. Alcune di queste storie le abbiamo perfino perdute. Noi italiani non le sappiamo ma se leggiamo un libro americano, Italian Holocaust, pubblicato dalla Columbia University alcuni anni fa, (devo dire, con orgoglio, con una mia prefazione) si trovano infinite storie di eroismo italiano da parte di persone che hanno perfino sopportato la tortura per non dire ciò che sapevano degli ebrei che avevano salvati. Ma tra loro – tranne pochissime eccezioni – non si troverà nessuno di coloro che appartengono alla classe dirigente.
Il primo è Giorgio Perlasca, un italiano che si considerava fascista e non aveva nessuna difficoltà a considerarsi tale. Perlasca stava in Ungheria come affermato uomo d’affari e nel momento in cui ha sentito parlare delle Leggi Razziali ha capito da solo che ciò stava accadendo aveva qualcosa di pazzesco. Con l’abilità e i mezzi economici che si ritrovava in mano, attraverso trucchi, documenti falsi, la complicità del Console spagnolo, è riuscito a salvare – da solo – cinquemila ebrei, tanti quasi quanti sono stati quelli che, invece, gli italiani opportunisti hanno tranquillamente consegnato ai tedeschi perché fossero portati nei campi di sterminio.
L’altra persona a cui ho voluto dedicare il Giorno della Memoria è Giovanni Palatucci, il questore di Fiume. Palatucci era un giovane poliziotto fascista che, diventato questore di Fiume, aveva creato un reticolato di protezione, di clandestinità e di fuga per moltissimi ebrei della città fino a quando un delatore non l’ha consegnato ai tedeschi ed è morto, a trentasei anni, a Dachau. Personaggi così riscattano, in un certo senso, una classe dirigente italiana che è stata in silenzio davanti alla chiusura di case editrici, all’espulsione di scrittori, alle liste di proscrizioni ma, soprattutto, davanti all’uscita dei bambini dalle scuole.
La scuola, la scuola… Molti direbbero a questo punto: “la televisione” o “il cinema”… Tutto vero ma io penso invece che la scuola abbia un’importanza immensa. Vedo che dovunque ci sono insegnanti – e per fortuna ce ne sono tanti, più di quanti non si pensa che ci siano – che hanno questa passione, che hanno il sentimento del rapporto che lega le generazioni di prima con quelle di adesso e quelle di dopo, i frutti sono straordinari. I ragazzi sono capaci di capire, di partecipare, di fare cose che parrebbero vadano al di là del loro livello di comprensione, della loro maturità. Non è vero: ci arrivano, eccome!
Dove questi insegnanti non ci sono, dove lo spirito dell’insegnamento è un trascinarsi burocratico di povere cose, ciò non avviene ma il disastro allora è totale, è molto più grande del solo filo della memoria. Si perde anche l’identità, si perde il senso del futuro, la gioia del sapere… Sono stato invitato in molte scuole italiane e devo dire che, per fortuna, ci sono ancora molti insegnanti che tengono duro e insieme al filo della memoria costruiscono il filo dell’identità, il filo della coscienza, il filo della distinzione tra bene e male, tra gli altri e noi.. Mi creda: c’è ancora chi – quel filo – lo tira, lo tiene, lo fa vedere, lo passa alle mani più giovani. E questo dà speranza.
E chi le nega? Occorre battersi, sempre e dovunque ogni uomo si veda privato dei diritti fondamentali. Ma gli ebrei sono stati portati via dalle nostre piazze, dai nostri quartieri: non da Mosca o da Leningrado! Erano cittadini italiani, come tutti gli altri, che, all’improvviso, in un arbitrio assoluto, privo di qualsiasi riferimento alla storia e al buon senso, sono stati strappati alle loro vite e buttati nei carri che li portavano nei campi della morte. Da Bergamo, da Milano, dalle nostre strade…
L’unica cosa che chiederei a coloro hanno questo tipo di perplessità è di non fare la contabilità dei morti che è una delle contabilità più tristi e più lugubri. Fate la contabilità della vita. Quella vita prima di tutto in Italia è stata negata a italiani dalle Leggi Razziali. E poi non dimentichiamolo: la Shoa è stato lo sterminio di un popolo, non lo sterminio di nemici. Terribile e tremendo, da condannare fino in fondo, senza nessuna giustificazione: ma lo sterminio di nemici. Sarebbe stupido e assurdo negare queste cose ma è la generalità del progetto razziale, l’universalità che comprende la morte per i bambini e la morte per i vecchi, lattanti o paralitici che siano, purchè essi siano identificati in un solo dato che è quello della cultura, della storia e della religione. Secondo me è un delitto così grave che straccia tutti i patti su cui si fonda la civiltà.