In quegli anni la terra d’Algeria venne bagnata dal sangue di più di 150 mila morti. Nel mirino giornalisti e intellettuali ma soprattutto mussulmani che cercavano di costruire ponti, aprire varchi di dialogo, opporsi al settarismo fondamentalista. Iman e persone semplici, credenti convinti che, al di là delle differenze, Allah Mahabba, Dio è amore, come era scritto sulla stola che Pierre Claverie, vescovo di Orano, amava indossare. O come ricordavano spesso i sette monaci di Tibhirine, sulle montagne dell’Atlante, uccisi nel maggio del 1996. Erano stati rapiti nella notte tra il 26 e il 27 marzo: dopo quasi due mesi furono trovate le teste ma non i corpi. Chi li aveva assassinati pensava che la storia finisse lì. Non sapeva che i sette monaci cistercensi erano “più forti dell’odio”.
Un paio di anni fa proprio nella cattedrale di Orano sono stati beatificati i 19 martiri cristiani caduti tra il 1994 e il 1996. Donne e uomini che hanno vissuto, in nome del Vangelo, un grande affetto per il Paese nel quale si trovavano e l’impegno costante a vivere la propria vocazione coltivando l’amicizia con ogni persona. Un’amicizia che nel tempo abbatte i muri, crea fiducia, apre porte inattese.
Come quella sera, a Tibhirine. Dopo compieta, frère Christian torna in cappella e si mette a pregare, in ginocchio. Ed ecco che a un certo momento sente una presenza accanto a sé e un mormorio che sale: “Allâh! Âkbar!”.Tra un’invocazione e l’altra l’uomo sospira; dopo un po’ di tempo si rivolge a fr. Christian e chiede: “Preghi per me”.
Questi comincia a balbettare in francese una preghiera composta all’istante: “Signore unico e onnipotente, Signore che ci vedi, tu che unisci tutto sotto il tuo sguardo, Signore di tenerezza e di misericordia … insegnaci a pregare insieme”. Anche l’ospite prega, il francese e l’arabo si mescolano. Poi giunge un altro e si unisce alla preghiera. “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro!”. Sono trascorse tre ore; poi si lasciano in silenzio nella notte. Il terzo arrivato, anche lui musulmano, il giorno successivo commenta: “Tutto è semplice quando è Dio che guida”.
“Anche se volessimo partire, non potremmo più farlo. Il nostro sangue si è mescolato”, così mons.Pierre Claverie dirà qualche mese prima della sua morte. Jean-Jacques Perennès, il biografo del vescovo, ha più volte raccontato la scena che si è presentata ai soccorritori sul luogo dello spaventoso attentato: “Pierre e Mohammed giacciono al suolo in un atrio devastato e il loro sangue si mescola”.
Un testimone di Cristo e del Vangelo e un mussulmano legati da una fraternità, da un’amicizia.
Più forti della morte. Più grandi delle differenze.
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Rocchetti