
Il dibattito interminabile, vasto e complicato sui dazi dà l’idea di qualcosa di stranamente familiare: un evento così lontano ci sembra tutto sommato vicino. Come mai? Le misure minacciate e avviate da Trump e le risposte promesse da parte degli interlocutori – Canada, Messico, Unione Europea – si configurano come un colossale botta e risposta. Trump impone dei dazi e Canada risponde – o promette di rispondere – con dazi uguali e contrari. Magari la risposta non sarà proprio uguale e contraria, ma tale appare all’opinione pubblica.
A una botta violenta deve opporsi una risposta altrettanto violenta. E’ l’equilibrio della violenza. La forma esemplare di questo equilibrio, è noto, è la legge del taglione: occhio per occhio, dente per dente. La legge del taglione ci appare rozzamente semplificatrice, primitiva, inadeguata. E invece. Prima dell’equilibrio del taglione vige la legge del più forte che fa quello che vuole. Lamech, nel libro biblico della Genesi, annuncia tronfio: “Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura” (Gen 4, 28).
Di fronte allo squilibrio della violenza sregolata, taglione introduce una regola equilibratrice: occhio per occhio, dente per dente, appunto. Se uno subisce una violenza la può restituire, ma uguale a quella che ha ricevuto. Tuttavia, l’equilibrio del taglione è incerto, perché è possibile, teoricamente, che la vendetta vada avanti indefinitamente. D’altronde si citano molti casi, soprattutto di società primitive, nelle quali nessuno è riuscito a bloccare l’uccisione dettata dalla legge del taglione. È allora è capitato che, non potendo essere bloccato il botta-risposta della violenza, questa è andata avanti fino alla soppressione totale dei due clan in lotta.
La barbarie equilibrata del taglione si supera quando le due parti in lotta rinunciano allo scontro tra di loro e affidano a un terzo il compito di reprimere la violenza, anche con altra violenza. Ma, in quel caso, la violenza è quella di un terzo e non di una delle due parti in lotta. Questo dislocamento rende possibile fare violenza perché la violenza cessi. È la violenza, più o meno spettacolare, della giustizia. Ma bisogna che i due siano d’accordo e che il terzo che interviene, giudichi e, se necessario, reprima.
Ecco la crisi dei dazi ci è familiare perché mette in scena, nei grandi rapporti internazionali, i metodi più banali della violenza, con cui abbiamo a che fare quotidianamente: da due ragazzi che si scambiano botte, a due automobilisti che si scambiano gli insulti, ai clan mafiosi che rispondono ammazzando agli ammazzamenti subiti…
Oltretutto, questi contrasti obbligano a rispondere. Teoricamente, infatti, di fronte a una provocazione è possibile non rispondere, non infliggere la risposata alla botta subita. La risposta più forte è la non risposta, il tirarsi fuori della mischia. È la situazione tipica delle persone “superiori”, che usano la loro forza per affermare la loro “differenza” rispetto agli altri. Gli altri si azzuffano, loro no. La persona superiore, infatti, dice che la vera grandezza non sta nel vincere una mischia ma nel non ingaggiarla. I cortigiani litigano con gli altri cortigiani, ma il re non si sognerà mai di litigare con i cortigiani. Se lo facesse diventerebbe anche lui un cortigiano e non sarebbe più re.
Si potrebbe dire la stessa cosa notando che domina nei nostri rapporti quotidiani e negli stessi rapporti internazionali, un forte spirito borghese. Il borghese, infatti, si distingue dagli altri solo perché ha più soldi, più terreni, più case. Trump è borghese, e borghese è Musk e borghesi sono i ministri miliardari che fanno corona a Trump.
Ora, la differenza borghese è sempre una questione di quantità, non di qualità. Il borghese non arriverà mai a starsene fuori dalla mischia, perché se è arrivato dove è arrivato è proprio perché ha vinto innumerevoli battaglie in altrettante mischie. E anche arrivato al potere continuerà a fare il borghese, continuerà a lottare, come ha sempre fatto, sulla base di continue botte e risposte: con i dazi e non solo.
Per smettere di combattere bisognerebbe che smettesse di essere borghese. Ma per fare cosa? Se il re smette di fare il re può iniziare a fare il cortigiano, ma se il cortigiano smette di fare il cortigiano, che cosa gli resta da fare?
Abbiamo bisogno di qualche nobile, nobile di animo, in mancanza di nobili di lignaggio, di qualcuno che riscopra soprattutto la nobiltà del silenzio. Vorremmo che in mezzo a tutti questi cortigiani sorga qualcuno che, almeno per un istante, abbia la forza di fare il re.