Sulle loro tombe. Pensieri

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In questi giorni è doveroso.
Si deve andare al cimitero,
cercare quella tomba, fermarsi.

Tutto se ne è andato

La foto sulla tomba di mia madre gliela avevo fatta io. Aveva fatto la ritrosa, come sempre quando doveva fare una foto. Avevo dovuto insistere. È in bianco e nero. Quel tipo di foto accentua quasi fisicamente la distanza fra allora e ora. Il bianco e nero è proprio la prova che tutto se ne è andato. Il passato è precipitato lontano.

Invece la foto sulla tomba di papà l’aveva fatto un fotografo amico. Papà ha avuto il buon gusto di non affrettare troppo la dipartita. La sua foto, più recente, è a colori. Mi ricordo molto bene quel giorno, quel posto. Lui non facevo il ritroso. Aveva perfino dato la sensazione di sentirsi importante con tutto quell’indaffararsi attorno a lui. 

Davanti a quelle immagini i ricordi affiorano a sprazzi. Mi ricordo quella tal festa, quel tal incontro, quel tal evento, quel tal lutto… Ricordo soltanto alcuni fatti che hanno la forza di emergere sulla congerie di tutti gli altri. Devono essere speciali per essere ricordati. Non ricordo, non posso ricordare, i moltissimi pranzi insieme, le grandi risate, le interminabili chiacchierate. Cioè della trama quotidiana della nostra vita insieme non mi rimane più nulla. Solo che la mia vita e la mia vita con loro è stata modellata soprattutto da quei pranzi, da quelle risate, da quelle chiacchierate. Tutto perduto. 

La loro morte e la mia

Mi viene un magone indescrivibile. Poi, mentre continuo a guardare le immagini, mi chiedo il perché di quel magone. Difficile rispondere a sentimenti così imperiosi e così “necessari”. Ci sono e basta. Eppure, forse, qualche ragione la si può rischiare. La morte di mio padre e mia madre è stata anche la mia morte. La morte, infatti, è soprattutto la morte dei legami, degli affetti.

Mi ricordo lo strazio del momento in cui si sono chiuse le bare: non vedrò più quel volto. Non lo vedrò più. L’impossibilità di “vedere” il volto è la constatazione della fine degli affetti vissuti così: guardandoci, accarezzandoci, baciandoci. Poi, quando tutto è concluso, continuiamo a ripeterci che i nostri cari “ce li sentiamo vicini”. Ma non li sentiamo più e non sono più vicini. Cerchiamo, quasi disperatamente, di prolungare la nostra felicità passata. Forse felici lo siamo ancora. Ma essere felici senza di loro non è come esserlo con loro. Ecco. Mentre sto guardando immagonito le loro foto sto immagonendomi della mia morte: quella parte di morte chi è già capitata con i molti affetti finiti, e quella che mi capiterà, un giorno.

Anche Lui ha pianto

Poi mi chiedo che senso ha avere fede con questo peso sul cuore. Tutta la mia – poca – teologia non mi serve. Mi ricordo soltanto che il Dio nel quale credo ha avuto paura di morire ed ha pianto di fronte a un amico morto. Le mie paure sono state anche le sue. E questo mi conforta.  

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