
Una persona come me, poco incline a seguire gli avvenimenti sportivi, è rimasta favorevolmente colpita dallo spirito che ha aleggiato nei Giochi Paraolimpici recentemente tenutisi a Parigi
Nello sport di alto livello professionale, così come è concepito oggi, soprattutto all’interno dei Giochi Olimpici, contano solo le prestazioni e i risultati. Un atleta gareggia soprattutto per il successo e per conquistare la medaglia. Ogni atleta persegue questo obiettivo con sacrifici e allenamenti, e ognuno di loro mette in campo performance diverse, da un atleta all’altro, da un paese all’altro, sostenuto da una squadra di tifosi. Tutto questo, oltre alla conquista delle medaglie, genera un racconto sulle sue qualità e dà vita a un successo mediatico.
L’atleta di successo tende a ottenere il massimo dal suo sforzo e dalla sua preparazione. Al di là della retorica dell’importante partecipare, lo sport ad alto livello tende alla conquista, al primato, anche perché l’immagine nella nostra società è un punto di forza e di identificazione. Non voglio fare discorsi moralistici. Lo sport è conformato allo stile della nostra società, dove l’apparire sembra essere molto più dell’essere. Tuttavia, non dovremmo mai dimenticare che nello sport, come in ogni attività umana, vi sono fatiche, dolori e depressioni.
Ho però visto nei Giochi Paralimpici circolare una visione, certamente non estranea alla fatica, alle sofferenze e delusioni, ma con tratti gioiosi.
In giochi globalizzati come questi non sono mancate le tensioni per il primato del risultato, ma abbiamo anche visto il formarsi di prestazioni sofisticate e l’atleta concentrarsi su molti parametri, con una attenzione focalizzata sul superamento di se stessi.
Gli atleti paraolimpici spesso affrontano sfide fisiche e mentali significative. La loro partecipazione allo sport rappresenta il superamento di questi limiti, dimostrando una straordinaria resilenza e determinazione. Forte è la spinta all’autorealizzazione il che molte volte non significa solo vincere medaglie, ma sentirsi soddisfatti delle proprie prestazioni indipendentemente del risultato finale. Gli atleti trovano soddisfazione nella gara, nel migliorarsi e nel rappresentare il proprio paese e la propria città. In questi giochi le persone che vi partecipano vanno oltre la semplice ricerca della vittoria o la conquista delle medaglie. Viene messo in atto un percorso di crescita e di arricchimento personale.
Questi giochi hanno raffigurato la metafora di un mondo migliore, di una tensione verso l’umano , il profondamente umano e a collocarlo su un percorso orientato a superare e modificare una situazione troppo piena di banalità e interessi personali che stanno offuscando la dignità di ogni umano.
Mi rendo conto che servirebbero orientamenti radicali, generatori di cambiamenti profondi che possono sembrare impraticabili. Eppure mai ripiegare, mai; anzi, bisogna resistere dal nostro piccolo angolo di mondo. Il nostro potrà sembrarci un contributo modesto, impotente come quello che ci sembra di esercitare a favore della Pace, ma tutto conta. A volte basta tenere accesa una fiammella per creare visibilità.
Dalle paraolimpiadi ci viene un segnale che dobbiamo cogliere e che ci può aiutare a superare le paure e il diffondersi di una cultura nichilista, indifferentista che contrasta con l’urgenza di maggiori comprensioni e di un vivere che si affida alla forza, alla congiunzione con le ragioni di senso.
Nella debolezza, nell’incertezza, nell’insicurezza, nella vulnerabilità vissuta senza angosce e con forti speranze si cela il valore profondo dell’umano ed è a questa profondità che dobbiamo affidarci.