La Resurrezione rifiutata

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Cecco da Caravaggio: un moderno.
Anticonformismo oltranzista
nel capolavoro delle Risurrezione “rifiutata”

La Resurrezione, di notevole originalità, oltre che di qualità pittorica straordinaria, è il lavoro di Francesco Boneri più documentato; nelle ricevute di pagamento l’autore viene identificato anche con il soprannome.

Il dipinto emerge negli studi di storia dell’arte nel 1938 e segna l’avvio del recupero della memoria di Boneri / Cecco e stimola gli studi sul post caravaggismo nell’Europa della prima metà del ‘600.

La grande tela, ora a Chicaco, manca in mostra di Bergamo perché considerata toppo fragile, intrasportabile.

Francesco Boneri detto Cecco del Caravaggio – Resurrezione, 1620 (cm 339×200) – Chicago
 

“…non havendo hauto sodisfatione…”

Piero Guicciardini, rappresentante dei Medici a Roma, tra il settembre 1619 e il giugno 1620 versa a Cecco del Caravaggio acconti per una pala raffigurante la Resurrezione destinata alla cappella di famiglia nella chiesa di Santa Felicita a Firenze. L’opera non piacque: “…già fatta per mano di Francesco del Caravaggio et datola via, non havendo hauto sodisfatione d’essa.” 

La tela, rifiutata il 18 ottobre 1620, risulta nel 1625 negli inventari della collezione del cardinale Scipione Borghese, collezionista compulsivo intenditore di grande arte.

La messa in scena

E’ arduo mettere in scena il mistero della Resurrezione di Cristo. In effetti non ricorre spesso nella storia dell’arte religiosa: è un evento prodigioso, rappresentarla è già un atto di fede.

Cecco ne elabora una versione sbalorditiva, scandalosamente laica; si ferma al dato reale, razionale, sulla soglia del mistero, fedele alla lezione caravaggesca portata alle estreme conseguenze.

Dipinge un groviglio di figure proiettato nello spazio in prospettive sbalorditive con il “dinamismo centrifugo” già sperimentato solo da Caravaggio. 

ll centro della composizione, in totale buio, è lo scorcio di un soldato che dorme con la testa appoggiata sulle mani incrociate; riconoscerlo richiede uno sforzo percettivo che muove la coscienza. 

L’azione si svolge in un ambiente chiuso e buio, quasi un palco scenico; la luce entra da uno spiraglio a sinistra.

In basso a destra un frammento di scultura classica riverbera la luce: rappresenta la morte dei figli di Niobe, vittime della superbia. A fianco una lampada riflette sullo sportello aperto il flebile lume dello stoppino che si sta spegnendo. 

Cinque armigeri sembrano esplodere dalla luce della figura androgina in veste d’angelo che alza il braccio, ma non indica Cristo che, completamente inosservato, non si libra nell’aria. Il corpo di Cristo è un corpo reale, nella luce del quotidiano. Il suo braccio desto alzato proietta ombra sul torace; il piede destro la proietta sulla pedana di legno, il polpaccio sinistro sulla nuvola (molto solida); al di sopra non spazi aperti ma un soffitto scuro.

Il vessillo sembra un pretesto per riverberare luce evocando suggestioni tattili.

Vero non verosimile

Il quadro non illustra il luogo del mattino di Pasqua come narrato nei Vangeli, ma la ripresa di figuranti nello studio, il “fermo immagine” di una messa in scena. Non un evento prodigioso, ma la rappresentazione della finzione del lavoro dell’artista, solo pose e modelli, corpi, costumi, oggetti, luci e sentimenti dipinti con sbalorditivo mimetismo.

Sembra già una riflessione sulla natura delle immagini per un‘arte che ricerchi il vero non il verosimile; troppo moderna per essere capita, subirà la sorte di altre opere di Caravaggio.

Sarà Antonio Tempesta l’artista incaricato di dipingere la pala della Resurrezione che arriverà a Firenze invece del dipinto di Cecco.

Antonio Tempesta – Resurrezione, 1620 – Firenze, chiesa di santa Felicita

Dal 30 giugno 1620 cessano le notizie su Francesco Boneri; forse morto poco più che trentenne, forse tornato nei suoi luoghi d’origine, le terre di Bergamo. 

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