E va subito notato che le scene in cui il protagonista si prende cura di lei, con affetto e grande tenerezza, la lava, la pettina, la veste, sono di grande potenza commovente .
Felice torna così lì dove è nato, il rione Sanità, nel ventre stesso di Napoli. Riscopre i luoghi, i codici del quartiere, e un passato che lo divora.
La nostalgia del titolo finirà allora per prendere il sopravvento, mentre il rione stesso rappresenta per lui un passato anche difficile, pericoloso, ma ricco di emozioni vere e sincere. Nostalgia per quel che è stato e quel che poteva essere, e insieme voglia di riallacciare i rapporti con quei posti, quei personaggi e quelle antiche amicizie, e ritrovare se stessi, fare pace con il proprio passato e, purtroppo, incontrare il proprio destino.
Che assume le sembianze di Oreste, vecchio intimo amico, compagno di scorrerie giovanili, l’ultima delle quali con un tragico epilogo che ha determinato l’esilio volontario di Felice. Quest’ultimo adesso, incoscientemente e nonostante ne sia stato assolutamente sconsigliato, vuole rivederlo, perché anche Oreste è un rimosso da ritrovare, un cuore di tenebra con un irresistibile potere di attrazione. Incarnazione del male, quasi necessario e altrettanto ineludibile.
La Napoli del film è sconcertante e affascinante, piena di contrasti e energia, una città da conoscere a piedi, con il sottofondo immancabile dei motorini che sfrecciano nei vicoli, minacciosi e incoscienti, dove morte e vita coesistono. Una città inafferrabile, eppure lì da sempre e per sempre per i suoi figli, buoni e cattivi.
Ma a Napoli esistono anche scelte diverse, e Martone le fa raccontare ai ragazzi della parrocchia, guidati da don Luigi, parroco combattivo e coraggioso, che lotta contro la malavita e prova a regalare ai giovani del quartiere nuovi valori e possibilità.
Una storia, dunque, d’amore e identità, una storia e un mondo di cui lo spettatore si gode le emozioni ancestrali e profonde.
Per Martone non è stato facile gestire i toni di questo film, il rapporto del protagonista con quel sentimento sfuggevole e mobile raccontato dal titolo. Ne è nata comunque una pellicola che non è didascalica né melensa, ma ha trovato il tono giusto con cui raccontare quella Napoli che del film è protagonista tanto quanto Felice.
L’interpretazione di Favino è misurata, ma ricca di sfumature e di piccoli tocchi di classe. L’attore recita inizialmente in un italiano un po’ rigido con forte accento straniero, tipico di chi è stato lontano tanto tempo, ma più passa il tempo a Napoli, più Felice ritorna in contatto con le sue radici e con il se stesso del passato, più cambia il suo modo di parlare, fino ad adottare con grande naturalezza il dialetto napoletano.
Un film consigliato, vincitore di quattro Nastri d’Argento.
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