La Chiesa e la dolcezza

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Non bisogna avere “la faccia di aceto”, ha detto, qualche giorno fa, Papa Francesco, a un gruppo di religiose.
Le espressioni curiose del Papa dicono molto, anche se con termini sorprendenti.
La “faccia di aceto” fa nascere una domanda: dove abita la dolcezza nella Chiesa?

“Capire il presente, comprenderlo, per capire il futuro; in cammino, non ferme – i morti sono fermi! -, in cammino con la Chiesa”. E’ l’esortazione che Papa Francesco ha rivolto nell’udienza alle Missionarie della Scuola, qualche giorno fa.

“A volte nella mia vita ho trovato qualche suora che aveva la faccia di aceto – ha detto ancora il Papa – e questo non è affabile, questo non è una cosa che aiuta ad attirare la gente. L’aceto è brutto e le suore con faccia di aceto, non parliamone!”.

“Faccia di aceto” e altre espressioni simili

Papa Francesco ci gratifica, spesso, di espressioni un po’ curiose. Mi ricordo che una volta, aveva confidato di dormire “come un legno”. Un’altra volta aveva affermato che “Gesù si è fatto serpente”… E’ noto che molte delle sue affermazioni fanno discutere sia per le parole che usa, sia per il messaggio che trasmette. Adesso arriva la raccomandazione fatta alle suore di non avere la “faccia di aceto”. Bisognerebbe conoscere bene lo spagnolo nativo di papa Francesco e forse si troverebbe che alcuni modi di dire dicono bene in spagnolo, stridono un poco nella traduzione letterale in lingua italiana. 

In effetti non ci è familiare l’immagine della faccia di aceto. Ma si capisce discretamente bene che cosa vuole dire. Il gusto asprigno dell’aceto ci fa capire che papa Francesco raccomanda, precisamente, di evitare durezze e asprezze nelle relazioni con gli altri. Interessante, tra l’altro, che l’asprezza dell’aceto sia riferita alla faccia che rimanda, certamente, alla parola, ma anche allo sguardo e a tutti quelle impercettibili reazioni fisiche che si concentrano sulla faccia e che tradiscono il nostro stato d’animo. 

Papa Francesco parla a delle donne e a delle suore. È probabile che egli pensi che in una donna e in una suora l’aceto della faccia diventa ancora più aspro perché contrasta con l’attesa di dolcezza e affabilità che, nel sentire tradizionale, ci si aspetta soprattutto alla figura femminile. Non so fino a che punto questo sia ancora vero. Penso che sia vero che molti la pensano ancora così.

Nella Chiesa ci sono i preti impegnati soprattutto a fare. Poi ci sono le donne

Il che pone dei bei problemi. Le figure classiche del mondo ecclesiale sono soprattutto il prete e il religioso, figure maschili. Le quali “comandano” e “fanno”. Di conseguenza non sono direttamente associate alla affabilità e alla dolcezza. Affabilità e dolcezza che, invece, sono raccomandate, dal Papa e non solo da lui, alle figure femminile delle suore. Che poi ci siano preti affabili e suore scostanti con la faccia di aceto, è possibile. Ma non sono la regola. 

Per cui diventa intrigante la domanda: dove abita, nella Chiesa, la dolcezza? Se è vero che la dolcezza è caratteristica soprattutto femminile, significa che la dolcezza sta soprattutto nelle periferie della Chiesa, non al cuore. Nella Chiesa, cioè, ci si preoccupa più di fare molto che di fare bene, più delle molte cose da realizzare che dello stile nel realizzarle. 

Forse è per questi motivi che si parla così spesso del ruolo delle donne – e quindi delle religiose – nella Chiesa. E’ come obbedire a una specie di nostalgia nascosta per una Chiesa più accogliente, più dolce, appunto.

Gesù si reca spesso e volentieri dagli amici di Betania. Lì c’è Lazzaro che lui ha chiamato fuori dal sepolcro. Ma di Lazzaro non si dice né cosa ha fatto né cosa ha detto. Delle sue due sorelle invece si sa che l’una, Marta, è brava in cucina e l’altra, Maria, ama ascoltare Gesù. Il calore, la dolcezza familiare di Betania è femminile. E Gesù ci si trova bene. 

Una bella provocazione per la Chiesa di oggi. 

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