Dio entra nella debolezza di un neonato "avvolto in fasce".
Poi cresce, perfettamente uomo, vicino agli uomini.
La salvezza nella fragile carne del Bambino di Betlemme
Sì, “ la Parola divenne carne”. Dio entra nella debolezza di un neonato “avvolto in fasce che giace in una mangiatoia”.
La "Parola" è diventata un numero dell'anagrafe dell'impero romano
E, “divenne”, in un puntuale “ oggi” storico, nell'anno quindicesimo di Tiberio Cesare, e in un particolare dato geografico del Medio Oriente, Betlemme.
Da un lato Tiberio sul trono, dall'altro il piccolo Gesù sulla paglia della mangiatoia.
La grande Parola, il Logos della creazione, si è innestato nella incompiutezza della nostra terrestrità, nient'altro che un numero nell'anagrafe dell'impero romano.
Una notizia di nessun rilievo, se non che per noi il tempo ha cambiato nome, non più Kronos, ma Kairos, il momento propizio che ci è donato per vivere la “bella notizia” della carne di Cristo che dona la salvezza ad ogni carne.
Crebbe poi, questo Bambino, nella Palestina, un settore geografico di scarsa importanza, in un piccolo paese, Nazaret. Di lui non si sa nulla, assolutamente anonimo, dentro un angolo oscuro dell'impero romano.
Non è l'uomo che va in cerca del successo, l'uomo “riuscito”. Non si lascia abbagliare dal potere e dal prestigio, resistendo nel deserto alle tentazioni del diavolo che lo seduceva con la spettacolarità del miracolistico, allontanandolo dalla fatica del vivere.
"Uomo per gli uomini davanti al Signore"
Accetta i limiti della “carne”, la vulnerabilità, la fragilità, il limite strutturale umano.
Non ha neanche la pretesa di presentarsi come esempio di virtù, vive insieme a tutti, “uomo per gli uomini davanti al Signore” (Bonhoeffer).
Ha una spiccata preferenza per i “ non eletti” tanto che verrà classificato “amico dei pubblicani e dei peccatori”, si fa baciare da una prostituta, si siede a tavola con persone di dubbia reputazione, si ferma a conversare delle cose ultime con una donna particolarmente chiacchierata, la samaritana, va in casa di Zaccheo, “Oggi devo fermarmi a casa tua” (Lc 19,5).
La salvezza incomincia da un “oggi”, una casa, un incontro, quell' “impossibile all'uomo che è possibile a Dio”.
Attorno a lui si accalcano i “non eletti”, gli esclusi, gli indemoniati, i lebbrosi, impuri per eccellenza, i malati, i poveri, quelli che si perdono per strada... Gente preziosa agli occhi di Dio, ma ignorata dalla storia. E Gesù, che passa fra gli uomini facendo del bene” (At 10,38), non risponde con il rifiuto, non separa né emargina, ma mostra la misericordia di Dio che chiama tutti a vivere l'avventura bella della santità.
Non si esprime con dogmi, non snocciola codici, non usa sillogismi
E quando parla non si esprime con dogmi, non snocciola codici, non usa sillogismi, ma presenta immagini tratte dalla vita domestica: il granello di senape, il seme e la terra, il lievito nella pasta, il pastore e la pecora ribelle, la chioccia e i pulcini, gli uccelli del cielo e “i gigli dei campi, che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come loro”.
Dall'altra parte c'è il vitello d'oro.
Immagini semplici che indicano il paradosso della fede, svelando il Mistero di un Dio che è sempre oltre, sempre nuovo, che scardina gli angusti confini che gli abbiamo costruito intorno, un Dio eccessivo nell'amore che, per dire la sua potenza, si nasconde nel senzatetto, nell'ammalato, nel carcerato, nello straniero, nel profugo...(Mt 25, 31-46).
È l'umanità di Dio che si incarna in Gesù, che dà Vita ad ogni creatura e senso ad ogni nostro limite.
Dio si “restringe” per far sì che l'uomo possa dilatarsi fino al cielo.
“Nella carne il principio della salvezza” (Tertulliano), nella fragile carne del Bambino di Betlemme, perché “gloria Dei vivens homo” (Ireneo), la gloria di Dio è l'uomo vivente, non il superuomo, ma l'uomo, il piccolo, l'umile, fatto di terra, il peccatore, ognuno di noi.