Dentro lo scontro tra Trump e Zelensky

Dall’arte: antichi ammonimenti al potere. Molto attuali
Marzo 7, 2025
Il deserto, il diavolo e le tentazioni
Marzo 9, 2025
Lo scontro fra Trump e Zelensky ha significato molto più degli insulti.
Le spese folli per il riarmo non sono la risposta migliore.
Franco Pizzolato offre spunti molto stimolanti al di là della molta cronaca dei giorni scorsi

Lo sgomento che ha attanagliato (parte del)l’opinione pubblica di fronte al colloquio tra Trump e Zelensky è stato bene messo in luce negli articoli pubblicati sul nostro blog. Ma gran parte della “gente” vi ha visto anche la fine della politica come ambiguità e la chiarezza di chi dice pane al pane e vino al vino: e ciò indica una rivoluzione di stile relazionale politico, che comporta la fine del farisaismo ma anche la fine della paziente mediazione.

Un Governo che rinnega gli impegni dello Stato che governa. Le responsabilità dell’Occidente

Personalmente mi ha colpito soprattutto per due motivi. Perché il cambiamento di politica dentro uno Stato, col passaggio da Biden a Trump, veniva a sconfessare brutalmente la posizione assunta dal medesimo Stato nei suoi impegni internazionali precedentemente assunti. Ma lo Stato non è il Governo. Deve avere una sua continuità statuale a prescindere da suoi mutamenti contingenti di orientamento politico, se vuol essere affidabile. Ma, evidentemente, in una società liquida si fa poco caso alla continuità e alla fides.

Poi – e questo è il secondo motivo, più fondamentale – è stupefacente che la responsabilità della guerra sia stata imputata a Zelensky, che è stato addirittura uno strumento in mano all’Occidente per saggiare la forza di Putin e magari – orribile! – per testare l’arsenale militare in campo. Già da molte fonti si sta apprendendo che prima della guerra sfumò una trattativa, già possibile e accetta anche all’Ucraina, con Putin sull’annosa questione del Donbass (a prevalenza russa) e della neutralità internazionale dell’Ucraina, sulla base degli accordi di Minsk, che impegnavano la NATO a non espandersi ad Oriente dopo la grande crisi dell’Unione Sovietica del 1989. Questa trattativa è stata bloccata da grandi potenze dell’Occidente ed è nato il mito della guerra “fino alla vittoria”

Questa strumentalizzzazione occidentale rende ancora più odiosa la richiesta di Trump di essere ora risarcito delle armi concesse all’Ucraina con la cessione delle “terre rare”. Come se le armi non gli fossero state date per combattere a nome e in vece dell’Occidente e non le avesse pagate a sufficienza con i suoi morti. Questo è forse l’attacco più odioso di Trump all’Ucraina. E è una forma di colonialismo. 

Ora, dopo centinaia di migliaia di morti, la forza di Putin è stata veramente testata, sia da sanzioni inefficaci sia dalla constatazione del divario militare insuperabile tra un’Ucraina e una Russia, che si sapeva già in partenza che poteva essere colmato solo con un conflitto generalizzato, mondiale, che sarebbe stata la fine non solo di Putin e dell’Ucraina, ma di tutti i confliggenti. 

L’improprio paragone tra Putin e Hitler

Ma ora che avanza una proposta di pace, sostenuta sia pure in modo rozzo e brutale, dagli USA e da Putin, c’è ancora chi in nome di una ideale assoluta autonomia degli Stati nazionali (che è antistorica) spinge l’Europa ad armarsi per opporsi, senza rendersi conto che combattere fino alla vittoria contro una potenza nucleare come la Russia significa o spostare la sconfitta ancora più in là con ulteriore spargimento di sangue o distruggere il mondo.

Si dice di temere che una vittoria di Putin in Ucraina lo spinga a mangiarsi via via gli altri Stati europei. Anche alte cariche nostrane, pur di statura intellettuale rilevante (tu quoque, Mattarella), si sono ingolfate in un imprudente paragone tra la Russia di Putin e le folli mire mondiali e razziali di Hitler, senza pensare che la Russia multietnica ha perso milioni e milioni di vite per lottare contro Hitler e che questo paragone non regge né storicamente né ideologicamente e fa parte di una propaganda bellica che indebolisce una prospettiva di riconciliazione a tutto campo. 

L’insensata corsa agli armamenti

Così nasce la corsa non dell’Europa insieme, ma dei singoli Stati europei, all’armamento che servirebbe solo a sanare la crisi dell’auto tedesca e francese e ad ingrassare l’industria bellica, felicemente rappresentata in Italia dal ministro Crosetto. Idea inutile: perché colmare il gap degli armamenti tra Europa e Russia sarebbe affare di decenni e spolperebbe lo Stato di risorse da occupare meglio (pensiamo alla salute e alla istruzione); insensata: perché la nostra cultura europea ormai non è adusa al senso e al sacrificio della guerra e tutt’al più vuole che la facciano gli altri; assurda: perché solo un pazzo potrebbe voler occupare il mondo rendendolo un deserto e morendo magari egli stesso nella operazione.  Ma se esistesse, un pazzo di questo tipo non si lascerebbe intimidire dalla deterrenza degli armamenti avversi. E non crediamo che quel Putin che, pur vincendo, trova già filo da torcere in Ucraina, potrebbe essere così pazzo o impunito da attaccare l’Occidente e da voler occupare il mondo intero, quando al proprio interno a stento è in grado di conservare il proprio multiforme assetto e visto che la cultura russa, bene o male, s’è comunque aperta all’Occidente e ha anch’essa sete di pace. E che la Cina non starebbe a guardare.

Questa per noi potrebbe essere invece la traccia del cammino, che ci pare esca dalla continua parola, ora sempre più sofferta, di papa Francesco. Un immediato cessate il fuoco; una trattativa di pace che salvaguardi la sovranità dell’Ucraina (concedendo una forte autonomia delle minoranze etniche al suo interno) e nello stesso tempo la impegni a mantenersi fuori dalle mire di influenza dell’Unione Europea e soprattutto della NATO, per garantire il prestigio alla Russia e un riconoscimento alle esigenze della sua sicurezza (rinuncia quindi dell’Occidente ad espandersi anche militarmente alle porte della Russia). 

Forse un nuovo ordine mondiale

Una riconciliazione mondiale purtroppo sembra che non sia più, come era un tempo, l’obiettivo dei grandi Trattati di pace, che, dopo le guerre, miravano a stabilire un nuovo ordine. Oggi i “due grandi” (che non sono più solo due) vogliono riservare a sé la trattativa, addirittura escludendo l’Ucraina. Ma può comunque scaturirne quell’inizio di bene che coincide con la fine delle ostilità. Poi l’Europa dovrà pensare a realizzare la sua missione che non è quella delle armi ma quella della creazione di un ordine nuovo multilaterale: non solo europeo, non solo atlantico, emancipoandosi dal vassallaggio in cui si trova. Perseguendo quel multilateralismo sfaccettato del prisma, tanto caro a papa Francesco, di fronte alle sfere concluse in se stesse.  Non schieramento né funzione di servi del Principe. Invece apertura confidente agli scambi sia con gli USA sia con la Russia sia con la Cina sia con quei grandi Paesi emergenti (India, Brasile, mondo arabo). Per rilanciare gli strumenti internazionali tradizionali (come l’ONU), si devr forse partire da tavoli multilaterali parziali sempre più numerosi e diversificati.

Forse è una speranza contro ogni speranza. Ma è sempre meglio che una certezza di morte.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


Il periodo di verifica reCAPTCHA è scaduto. Ricaricare la pagina.