Della scuola dell’obbligo e di altri diritti del cittadino

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Gennaio 20, 2025
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Della scuola dell’obbligo e di altri diritti del cittadino

“Cosa vuoi pretendere: siamo nella scuola dell’obbligo!”
L’enfasi sui diritti e l’oblio dei doveri.
Ma il diritto della scuola chiede il dovere di studiare

Durante un recente conversazione tra amici, un’insegnante di matematica alle medie evidenziava come alcuni ragazzi dedicassero veramente scarso impegno allo studio, fatto che impediva il raggiungimento, in una materia così importante, di un livello di conoscenza adeguato per un ragazzo che esce dalla terza media, e concludeva con tono rassegnato «del resto cosa vuoi pretendere: siamo nella scuola dell’obbligo!»

La Costituzione: “L’istruzione inferiore … è obbligatoria e gratuita”

Confesso che l’argomentazione della professoressa mi ha molto sorpreso: come se l’obbligo fosse una circostanza attenuante del disimpegno e che l’obbligo scolastico si esaurisse nella frequenza, ancorché passiva, e nulla di più: per me, al contrario, esso è un’aggravante!

Mi pare che questa logica sovverta totalmente il dettato e la ratio della nostra Costituzione che, all’art. 34, prevede: «La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.» 

Proprio perché lo impone la legge, anzi la Costituzione stessa, i ragazzi sono tenuti ad impegnarsi seriamente per raggiungere i livelli di competenza previsti dai programmi scolastici: studiare è un dovere civile grave, primario, come pagare le tasse. In tutti i Paesi democratici, la legge impone un livello minimo di istruzione perché ritiene fondamentale la formazione e la crescita di cittadini provvisti degli strumenti culturali che consentano di affrontare il mondo del lavoro e la vita nella società da adulti consapevoli e quindi, in ultima istanza, da cittadini liberi e autonomi.

Il diritto al lavoro e il dovere di lavorare

Purtroppo, nella nostra società, di cui la scuola non è che lo specchio, è avvenuto un sovvertimento nel rapporto tra diritti e doveri e nella loro percezione. Negli ultimi decenni, soprattutto a partire dal Sessantotto, ad una positiva presa di consapevolezza dei diritti si è purtroppo via via sviluppato uno svilimento, un oscuramento dei doveri. I diritti sono sempre più vissuti in via unilaterale senza considerare adeguatamente i corrispondenti doveri, anzi spesso slegati da questi ultimi. 

Al diritto di protezione e dei servizi da parte dello Stato (sicurezza, giustizia, sanità, pensioni, infrastrutture, etc.) corrisponde necessariamente il dovere di pagare le tasse e rispettare le leggi. Come sosteneva il Prof. Gino Giugni (1927-2009), parlamentare e padre dello Statuto dei Lavoratori (legge n. 300/1970), al diritto al lavoro corrisponde il dovere di lavorare, non ci si può limitare alla pretesa di un posto e di uno stipendio!

Il più volte senatore Franco Debenedetti insisteva nell’affermare che i diritti garantiti dalla Costituzione non sono dei ticket, dei voucher per cui il cittadino si presenti e lo Stato gli deve fornire il servizio: il diritto al lavoro significa che lo Stato deve favorire le condizioni economico sociali che consentano l’accesso al mondo del lavoro (inclusa la formazione professionale) ma poi è onere del cittadino farsi parte attiva. E così per il diritto allo studio: non ci si può fermare alla disponibilità di aule e insegnanti, ma deve corrispondere il dovere di studiare: tuttavia per molti il diritto allo studio si è trasformato nel diritto al diploma: presento il mio voucher e mi aspetto che la scuola mi rilasci il sospirato titolo (mi viene in mente che qualche anno fa, a Milano faceva un caldo terribile in quei giorni di fine luglio, chiesi ad un mio conoscente insegnate di italiano come fossero andati gli esami di maturità: «vogliono il pezzo di carta? lo appenderanno al muro! Li boccerà la vita» mi rispose secco, con tono disilluso e scoraggiato: non chiesi altro). 

La “cultura” populista: lo Stato deve dare, il cittadino non deve nessuna contropartita

La norma viene depotenziata: il concetto chiave dell’illuminismo che vuole tutto sottoporre al vaglio della ragione, portato all’eccesso, anzi distorto, si è trasformato nel vaglio del singolo e della sua visione soggettiva se non del suo desiderio. Questo processo si è imposto non solo per le norme di legge dello Stato (di cui gli Italiani peraltro avrebbero fama di essere campioni di elusione), ma anche per le norme etiche, morali. È chiaro che, se comprendo e condivido lo spirito e le finalità della legge, sarò molto più motivato nel rispettarne il dettato, ma la condivisione della norma non può essere un requisito necessario per il suo adempimento. Pensiamo, anche solo per fare qualche esempio, alle norme sulla circolazione stradale o sulla sicurezza sul lavoro: l’approvazione dell’interessato non può avere alcun rilievo. 

Questo sovvertimento mi pare tipico della società populista dove anziché sentirci parte di una Comunità con l’assunzione delle relative responsabilità, come vorrebbe l’impianto costituzionale, ci si sente controparti di uno Stato che ci deve fornire dei servizi, delle tutele, delle garanzie, ma senza una vera contropartita.

È questa una caratteristica del populismo che sta emergendo nella nostra società e nella visione della politica? Ne parliamo nel prossimo articolo.

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