Storia (e attualità) di migranti in un dipinto di Gianfranco Ferroni

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Storia (e attualità) di migranti in un dipinto di Gianfranco Ferroni

I migranti continuano a far parlare, e provocano intelligenza e sensibilità a “capire”. Molti ricordano che gli italiani sono stati anche loro, in un non lontanissimo passato, migranti. Un modo per ricordare è anche guardare un’opera d’arte che ci offre un’immagine di un dramma dell’emigrazione italiana: Marcinelle

8 agosto 1956 – Belgio

Nella miniera di carbone di Marcinelle muoiono 262 minatori; 136 sono migranti italiani: uno è bergamasco, Assunto Benzoni di Cerete.

Appena si diffonde l’eco della tragedia, Gianfranco Ferroni, pittore milanese all’epoca vicino ai temi del “realismo esistenziale”, elabora il lutto dipingendo la tela “Le donne di Marcinelle”. L’opera è conservata presso la presidenza della Provincia di Bergamo.

Gianfranco Ferroni “Le donne di Marcinelle”, 1956/’57
Collezione della Provincia di Bergamo

Le donne di Marcinelle

La cupa immagine della miniera è rotta dai riverberi di pochi colori che dal basso scaturiscono come un’esplosione; le pennellate rabbiose danno forma a lacerti di mani, braccia, vesti, volti stravolti dalla fuliggine, denti digrignati.

Sul fondo il buio del cunicolo è dilaniato dal bagliore del fuoco assassino. La scena è scandita dalle inferriate dal cancello socchiuso all’imbocco della miniera; le sue sbarre trafiggono la figura di donna in azzurro.

La scena evoca in un dramma lirico molteplici suggestioni: l’atmosfera claustrofobica della miniera di carbone; l’esplosione del micidiale “grisù”; lo spasimo di chi attende nello spazio saturo di gas e di fumi. Il minatore, deposto come Cristo, è sorretto dalla “mater dolorosa”; mani segnate dal lavoro nel peso della morte si incrociano con mani che si sfiorano nella tenerezza della sollecitudine. 

Ferroni rielabora il pathos della grande arte antica.

Giovanni Bellini – Deposizione di Brera, 1465

Le forme sono stravolte in un linguaggio aspro. Il nero incombe, minaccia le figure e restituisce un messaggio di rabbia soffocata dall’urlo di un’ingiustizia incapace di prendere le forma di una definita denuncia.

Gianfranco Ferroni

Gianfranco Ferroni (Livorno 1927 – Bergamo 2001) Artista autodidatta, figlio della guerra, si forma a Milano nella cultura del realismo esistenziale segnato dal senso di disperazione ma acceso di pulsioni profondamente politiche. Il suo iniziale linguaggio vuole superare astrazioni e realismi sociali per dare forme alla liberazione dell’uomo dallo sfruttamento. Vuole essere arte di denuncia, aspra come le note del sassofono che Ferroni suonerà per tutta la vita.

La contestazione alla Biennale di Venezia del 1968 – dove per protesta Ferroni espone i suoi quadri al rovescio, rivolti alla parete – lo porta in una profonda crisi e a un anno di silenzio. Il suo linguaggio si trasforma e il tema della liberazione dell’uomo prende forme più intense: diventerà arte lenta, di precisione lenticolare, come di artista artigiano; arte intima, rarefatta, sospesa, segreta, atea ma contemplativa, sempre tesa ad interrogare il segreto della vita. 

Marcinelle

A Marcinelle si consuma la tragedia dell’emigrazione italiana del dopoguerra che inondò per fame l’Europa. A Marcinelle si aggiunse il tradimento di uno Stato affamato di energia che siglò con il Belgio un accordo di scambio tra lavoro e carbone: lavoro pericoloso, accoglienza promessa e nei fatti negata.

In una diversa Europa, con una ricca Italia, la storia oggi si ripete con identica fame.

                                                                                                                      

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