Pierbattista Pizzaballa cardinale. Il profilo eccellente che ne ha tracciato Daniele Rocchetti ce lo ha fatto conoscere meglio. Ma l’evento è importante non solo per Pierbattista Pizzaballa. Quando succedono queste cose, a Bergamo, è come se tutti noi bergamaschi venissimo creati cardinali. E scoppia un sano e sentito patriottismo ecclesiastico.
Ma vanno ricordati alcuni tratti del personaggio che, forse, lo rendono meno bergamasco ma non per questo meno interessante, a Bergamo, in Terra santa e altrove.
Pizzaballa è stato creato cardinale non per quello che ha fatto a Bergamo: a Bergamo ha vissuto solo i primi anni della sua vita. Nell’intervista rilasciata all’Eco di Bergamo lo ha ricordato lui stesso. La Bergamo – compresa la Chiesa, soprattutto la Chiesa – dell’infanzia del nuovo cardinale non c’è più. Quindi questa Chiesa di ieri ha influito poco sul cardinale di oggi. O, se non vogliamo sottovalutarci troppo, ha influito nel formare le radici buone di un cristianesimo che ha resistito, nelle esistenze personali e nelle comunità, nella misura in cui ha saputo cambiare.
La vicenda del nuovo cardinale potrebbe essere riassunta così: la Chiesa sopravvive se sa cambiare
“Cambiare per durare”, si sente dire. E il cardinal Pizzaballa è molto diverso dal ragazzino di Cologno al Serio di cinquant’anni fa. “Me ne sono andato da ragazzo e i ricordi più belli sono quelli d’infanzia. Di una realtà che ormai stava finendo: erano gli ultimi anni di un mondo contadino che adesso non c’è più (…) Con bravi preti e una vita molto semplice di campagna”.
Ha dato molto alla Chiesa perché è cresciuto, ha fatto esperienze importanti, ha saputo destreggiarsi in un mondo, quello complicatissimo della Terra Santa. La Chiesa, il Papa gli hanno riconosciuto il buon lavoro fatto e l’hanno creato, prima, nel 2020, patriarca dei latini di Gerusalemme e poi, adesso, cardinale.
Si può tirar fuori dalla sua vicenda, una specie di “morale”, di “insegnamento” che è valso per lui ma vale per tutti. In fondo si potrebbe dire che un credente è importante per quello che dà e non tanto per quello che riceve. Un ecclesiastico è “grande” quando quello che ha ricevuto è, alla fine, meno, e spesso molto meno, di quello che ha dato.
In questo senso va ricordato che la sede di Gerusalemme nella quale il nuovo cardinale ha passato buona parte della sua vita di ecclesiastico e di religioso, è, certo, molto importante per i motivi storici che tutti sanno. Ma i cristiani di Gerusalemme sono una sparuta minoranza e contano poco in quella terra che noi continuiamo a chiamare “santa”. I giornali hanno citato qualche dato, anche in questa occasione. La percentuale dei cattolici sul totale della popolazione non arriva al 2%.
I cattolici in Israele sono meno del 2%. Il nuovo cardinale ha dovuto affrontare pesanti difficoltà economiche
Lo stesso Pizzaballa ha fatto certo il vescovo. Ma, per fare il vescovo, ha dovuto fare tante cose. Tra i suoi titoli di merito viene citato spesso il risanamento economico del patriarcato latino di Gerusalemme (ne ha parlato anche Rocchetti nell’articolo citato). Si parla di un centinaio di milioni di dollaari che la precedente amministrazione aveva accumulato soprattutto per costruire l’Università Americana di Madaba. “Il processo di revisione amministrativa ed economica, lungo e rigoroso, si è concluso con l’alienazione da parte del Patriarcato di importanti proprietà (fino a dieci ettari) a Nazareth per riuscire a coprire i due terzi del debito. La scelta, definita dallo stesso amministratore «dolorosa», si è resa necessaria per evitare la definitiva bancarotta del Patriarcato”, così riferisce Wikipedia.
Il debito, dunque, è stato risanato. Ma la Chiesa cattolica di Terra Santa si è trovata più povera di prima.
Ma anche questo “dato” finisce per essere interessante, quasi esemplare, per la Chiesa nel suo insieme.
Si potrebbe dire che la Chiesa cattolica di Gerusalemme sta insegnando al resto della Chiesa come mantenere la propria identità quando questa non viene né dal numero, né dal consenso, né dai soldi. Ma viene soltanto da quello che si è e da quello che si fa.
Stiamo cercando, anche da noi, a fare così. E tanto più saremo capaci di vivere in questo stato di faticosa minoranza e di altrettanto faticosa identità, tanto meglio sarà per la Chiesa intera.
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Rocchetti