Ingmar Bergman (1918-2007) è considerato tra i maestri del cinema del Novecento: ha diretto film memorabili come Il settimo sigillo (1957), Il posto delle fragole (1975), Sussurri e grida (1972), Scene da un matrimonio (1973). Tre hanno vinto l’Oscar come miglior film straniero: La fontana della vergine (1960); Come in uno specchio (1961) e Fanny e Alexander (1982).
Nel 1987 il regista svedese pubblica una lunga autobiografia, non sempre di agevole lettura, intitolata Lanterna magica (così il titolo nell’originale svedese), in Italia edita lo stesso anno da Garzanti. L’opera rivela una personalità complessa e tormentata (tra l’altro si sposò cinque volte ed ebbe nove figli): cresciuto in una famiglia “complicata”, trascorre l’infanzia e l’adolescenza in un clima oppressivo e anaffettivo. Il padre (1886-1970) è un affermato pastore luterano con il quale Bergman intrattiene difficili rapporti: a 19 anni a seguito di una violenta discussione le relazioni tra i due si interrompono: solo quando il padre è ormai vecchio e Bergman è un artista di fama internazionale avviene un certo riavvicineranno.
Quasi in chiusura, l’autobiografia riporta un toccante episodio accaduto nei primi anni Sessanta quando il regista sta preparando Luci d’inverno, film uscito nel 1963 e secondo della trilogia dedicata al silenzio di Dio, comprendente Come in uno specchio (la saggezza acquisita); appunto Luci d’inverno (la saggezza svelata) e Il silenzio (il silenzio di Dio): la ricerca di Dio è considerata dai critici una caratteristica costante della sua produzione teatrale, cinematografica e letteraria.
In tale capitolo, Bergman scrive di non essere ancora riuscito, nonostante diversi giri di perlustrazione, a trovare una chiesa adatta per ambientare il finale di Luci d’inverno, sicché una domenica mattina telefona al vecchio padre, tra l’altro afflitto da problemi motori che lo costringono a camminare con l’aiuto di un bastone e calzando stivali ortopedici, chiedendogli di accompagnarlo in uno dei suoi giri nei dintorni di Uppsala, sua città natale. Giunti ad una chiesetta di campagna all’ora della messa, entrano e vi trovano solo quattro persone, oltre al sacrestano, il fabbriciere e l’organista: un po’ dopo, ma in ritardo, giunge un prete tutto arruffato che in modo scomposto e concitato dice di avere quasi 38 di febbre, di essere raffreddato e che, col permesso del parroco, “Lasceremo via il servizio all’altare e la comunione. Canteremo un salmo, io terrò la mia predica come meglio potrò, poi canteremo un altro salmo e basta così”.
A questo punto, prosegue il racconto, il padre di Bergman, indignato, si trascina a fatica in sacrestia da dove si sente giungere l’eco di una accesa discussione; poco dopo si presenta il fabbriciere dicendo ai pochi presenti con un sorriso imbarazzato che sarebbe stata celebrata la messa completa: terminato il canto iniziale accompagnato dall’organo, entra il vecchio padre con tonaca e bastone e “con voce calma e bella” inizia la celebrazione.
L’autobiografia prosegue con una profonda riflessione:
Io per parte mia trovai il finale di Luci d’inverno e ricevetti la formula codificata per una regola che ho sempre seguito e sempre seguirò: a prescindere da qualsiasi cosa, devi celebrare la tua messa. È importante per i fedeli, è ancora più importante te. Se è importante anche per Dio si vedrà. Se non c’è altro dio al di fuori della tua speranza, è importante anche per dio.”
Qui il regista svedese, colpito dal luminoso esempio del vecchio padre, esprime in modo mirabile uno dei fondamenti dell’etica: la necessità di adempiere a ciò che ci compete indipendentemente dal risultato che si prospetta o da chi ci vede (solo quattro persone si erano presente per la messa domenicale); il bene deve essere compiuto perché è bene, al di là delle circostanze che ne possono svilire il valore in quel momento, o dell’utilità o vantaggio che ci sembra possa derivare. Vi è infatti la profonda convinzione che il nostro agire vada oltre i nostri calcoli, le nostre aspettative, gli obiettivi misurabili; che supera il contingente, che trascende il qui ed ora per inscriversi in una dimensione ben più alta.
Credo che questa sia una lezione molto importante per noi, soprattutto in questo mondo, in questa società dominata dall’ossessione per l’efficienza, la prestazione, il risultato (specie se traducibile in termini economici); dove si deve essere “performanti”, efficienti, produttivi, con lo sguardo fisso a terra anziché al Cielo.