Adolescenza età turbata

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Custodire l’umano/Quasi un mondo possibile si gioca nelle storie di tante adolescenze, di tanti passaggi difficili e spezzati verso la vita.
È una sfida delicata e vitale, irrinunciabile per tenere aperto, o ricucire,
insieme al futuro anche il ritmo della vita di generazione in generazione.

Una convivenza che vive transizioni molto incerte, la dura e inedita prova di una pandemia mondiale, l’esposizione alla morte, la ridiscussione delle sue rappresentazioni di sé e del futuro – e che è interessata da dinamiche vorticose, dall’indefinitezza del disegno di ciò che nasce – si coglie sorprendemente “impreparata” a dare spazio al nascente. Eppure il nascente germina e trova spazi, prende forme magari torte e contorte nelle ombre e nei margini, nelle fratture e nelle spaccature della vita, delle vite. Sono anticipazioni  quelle che si creano nelle persone, tra le relazioni, nelle biografie; anche dentro i muri, nelle menti e nei mondi chiusi. [1]

Mentre un mondo, una vita possibile si gioca e si cerca nelle biografie, nei corpi e nelle interiorità delle e degli adolescenti, un mondo, una vita possibile si gioca nella convivenza, nelle decisioni e nei legami tra le donne e gli uomini di questo tempo.

Adolescenti e mondo già da alcuni decenni facevano i conti con la realtà e la sfida del plurale, della diversità, della diseguaglianza e del potere, del bisogno di credere e del desiderio di capire.[2]

Nell’agire e nel sentire le possibilità resi così fragili, a rischio di dissolvenza. Si darà poter fare, potere di fare? Di fare avvenire, fare a venire, praticare futuro?

Adolescenze diverse

Non tutte le adolescenze e le giovani vite sono uguali e non lo sono mai state. Ma oggi convivono, in prossimità inedite, e il loro incontro, non scontato e fragile, può consentire preziosi riverberi e qualche nuova invenzione. Sono passaggi oltre l’infanzia, stranieri tra loro, che possono rivelarsi fecondi e capaci di trasformazioni nelle città, nel loro difficile incontro, nel loro turbamento. Possono viverlo insieme, in spazi, in esperienze di incontro non banalmente omologanti: piuttosto fatte di spazi di rispetto e parola per storie diverse, e di  pudore; realtà di vita comune, di scoperta e di costruzione  se non di “terre nuove”, almeno di “terre di mezzo”.

Le adolescenze diverse e straniere incontrandosi tra loro possono scoprirsi di fronte a sfide comuni, proprio mentre si scoprono attraversate da comuni tensioni e  bisogno di ricerche, da uguali timori, necessità di respiro e da passioni di futuro. Possono non temere la decostruzione e la distanza dalle tradizioni d’origine, né il ritrovarle nelle costruzioni di esperienze e di progetti, e in nuove pratiche.

Possono non vivere solo della necessità di adattarsi e di rassegnarsi. Possono sostenersi reciprocamente nella reinterpretazione di possibilità e condizioni, nelle “resistenze” ed anche nelle “indignazioni” condivise, nel gusto delle prove e dell’inizio di imprese e possibilità.[3] Evitando l’assimilazione, e il rigetto totale delle culture e delle identità altre. Quelle dell’assimilazione e del rigetto sono strade che rischiano di portare solo alla “recita” di appartenenze formali e chiuse, e alla sostituzione dell’altro con la sua rappresentazione astratta ed essenziale, come una caricatura, ingiusta e violenta, nella quale stare con le nostre paure e le nostre incertezze.

Sono attese adolescenze che, incontrandosi su esperienze sociali, civili e di responsabilità creativa e condivisa, in nuove sfide della comune vulnerabilità, possano e riescano a viversi come passaggi in equilibrio tra più mondi. Sperimentando possibili riduzioni delle dissonanze e delle tensioni incontrate, provando messe in gioco originali della propria differenza insieme a “passaggi oltre” i confini e le fratture, le prove e gli smarrimenti.

“Desideranti assoluti”

In questi ultimi anni più volte Julia Kristeva ha parlato con preoccupazione degli adolescenti  (francesi ed europei) sottolineando come si rivelino  “l’anello debole dove si disgrega, nel collasso del patto sociale, il legame stesso tra gli umani”.[4] Che si faccia spazio in diversi di loro alla pulsione  di morte nelle sue diverse forme, come risposta paradossale e tragica al loro bisogno di credere (“necessità antropologica pre-religiosa e pre-politica”), dà a pensare. Pensare, anzitutto alla relazione intergenerazionale, al ruolo degli adulti, alla “esplosione” della educazione e della fiducia.

Certo questo vale per diversi di loro, e non per tutti; ma non preoccupa di meno la tendenza di molti altri alla continua consumazione di tempo, risorse , emozioni, relazioni, esperienze… Che chiude all’aperto e alla riflessività, all’incontro come evento, alla contemplazione e all’avvenire, al silenzio e alla visione.  L’impegno nella riorganizzazione psichica ed esistenziale, nel misurarsi con genitori e società ma anche, oltre questo, per coltivare idealità, altro tempo, fa degli e delle adolescenti dei credenti, dei “desideranti assoluti”, degli “innamorati”. Quando questo resta deluso e vive lo scacco, allora si apre la strada alla distruzione, e alla consumazione. Nichilismo tragico, più spesso dolciastro. Con adulti, lì presso, che faticano o rinunciano a ricostruire i legami, a stabilire le comunicazioni e i fronti di confronto generativo.

La rottura dei legami, quelli che possono mostrare ciò che è prezioso e “sacro”, (nei legami, nei vicinati, nelle prossimità, nei luoghi sociali) tanto da meritare di dedicarvi se stessi, certo non sostiene, indebolisce il “bisogno di credere” costitutivo della vita psichica. Apre a crisi e malattie di idealità[5] e a malattie di identità che toccano la possibilità di accedere al senso di se stessi e all’esistenza degli altri. Lascia soli e con domande isterilite, non lavorate nella parola e nell’esperienza, nelle realtà e nelle soglie dell’incontro.

Aperti alle diversità adulte

Non bisogna rubare ai giovanissimi l’incontro con le diversità adulte, il confronto e la presa di distanza da queste, preziosa tanto quanto la prova dell’”urto” con il tempo presente, tempo doloroso e bellissimo, che prova e allontana, ma anche chiama a presenze, a responsabilità. Soglia preziosa sulla quale l’essere contemporanei è scoperta della preziosa riserva di “inattualità” cui il presente ci chiama.[6] Partecipazione al proprio tempo, ed alla vita concreta: essere al cuore e, insieme, non coincidere con il tempo presente, non adeguarvisi. C’è la cura di uno scarto, di un “anacronismo”: sempre cercando altro.

Ma adolescenti “turbati” dalla forza dell’incertezza e dalla “esposizione” dei corpi (loro e dei loro cari) alla sofferenza e alla morte sentono rispetto, valore e cura dei legami ad altri se la convivenza è “riparo” ed attenzione, se li cerca e li riconosce, se offre loro spazi abitabili.

Allora si possono limitare i loro ritiri abulici nei vuoti e nelle ansie , o i nascondimenti nel gruppo che fa sentire forti, e lascia sfogo a istinti e trasgressioni. I corpi, appunto, belli e mortali, i corpi che fremono e tremano: comunque nel turbamento.

Corpi cercati, e corpi malati, corpi di desiderio e di cura, di attenzione, e di gioia. Che fatica scoprirli (scriveva Françoise Dolto) come corpi di grazia, corpi di armonia![7] Corpi che fan sentire padroni o schiavi? Che vincono o perdono, che toccano in modo violento o che piangono, violati, in balia? “Zona turbolenta” l’adolescenza in ognuno ed ognuna, in cui si tocca la fatica e  la tensione del “voler vivere”, nella quale non è detto che trovi luogo, parola, esperienza la “carica eversiva” del risveglio (il secondo risveglio, dopo la prima infanzia) dell’immaginazione, del mondo, del tempo aperto.

Françoise Dolto indicava già anni fa l’importanza di due percorsi, che paiono addirittura decisivi oggi: l’educare all’amore, il nominare la morte e dare parola al senso di vuoto. La pandemia sta lasciando spazio nelle vite giovanissime alla prova della forza e dell’istinto, che nel gruppo si fa anche violenza e distruzione; ed al ripiegamento, al lasciare la presa, al devivre nella autodistruttività, nella fascinazione del nulla. Il silenzio dei cammini verso le paralisi esistenziali angosciate, verso i suicidi, verso l’incuria della vita dei corpi preoccupa e inquieta più dei gesti urlati di certi adolescenti violenti. Occorre educare all’amore e nominare la morte, offrendone i luoghi alle vite adolescenti, chiamandole lì a incontrare, ad ascoltare, a fare, a offrire.

Tra domanda meravigliata e risposta

La “domanda meravigliata” di cui le e gli adolescenti sono portatori secondo Maria Zambrano[8], che è sospensione e attenzione al meraviglioso dell’essere e della realtà delle cose, a volte non riesce a liberarsi dal senso di fragilità e dalla paura, dall’illusione e dall’inganno. Non riesce a restare aperta e sospesa. Pare insostenibile a molte e a molti adolescenti quel sentire il vuoto e l’aperto. Quella incertezza e quella sospensione che chiede il soffermarsi, sulla soglia della vita dove si incontrano amore e morte; quella fatica dell’attesa e della mediazione, e della meditazione che si apre tra domanda meravigliata e risposta.

Quella apertura tra domanda e risposta è abitabile quando apprendi che si risponde davanti a qualcuno, che si risponde di qualcosa; quando apprendi a rispondere con il tuo farti presente, esposto e consapevole, davanti a qualcosa, per qualcuno. Quali esperienze nelle vite giovanissime permettono questo apprendimento di sé e dell’incontro con l’altro, questo apprendimento del vivere, del sostenere l’incontro con il tempo, con l’amore e la morte? Come possono gli adolescenti abbracciare il turbamento del  vuoto e dell’aperto, e giungere al senso e al gusto del sentire e sentirsi chiamati, alla creazione di parole e gesti?

Certo, l’adolescenza è brivido d’origine, di nascita: subito a rischio di sperdimento e dissolvenza, di paura e ansia dell’indistinto. Ma oggi questa è questione di tutta l’umanità e del suo destino, è soglia di un suo futuro possibile. La biografia che comincia il suo racconto nella vita giovane degli adolescenti vive nel turbamento di tempi, incertezze, slanci e timori. Si vive in risonanza con il tempo del mondo: questa, come su una soglia evolutiva, vive ridisegni, fratture, scomparse e nuova vita, nuovi equilibri, rigenerazioni.

Irruzione del “propriamente umano”

Scrive Zambrano in sorprendenti articoli sull’educare che “pare che l’adolescenza custodisce qualche segreto della vita propriamente umana, o almeno pare che scopra con più evidenza la condizione propria dell’umano”.[9] L’adolescenza è, per la filosofa, “l’irruzione del propriamente umano: la necessità e l’entusiasmo di creare”.[10]

Una dimensione di conflitto è inevitabile, forse addirittura  necessaria per giungere e riconquistare un senso del sé nuovo e diverso, “separato” (e via via capace di esserlo). Capace di una solitudine che è propria dell’umano, e di una relazione più densa, fatta di riconoscimento della differenza, di dignità richiesta, difesa, data, di responsabilità. L’adolescente cerca qualcosa di suo nelle opere, nei pensieri, nelle scelte.

È quella vita che si presenta ed è sentita come “tutta la vita”, e che chiede e di essere tutta donata e tutta giocata, che può essere avvertita come tutta soffocata, o compromessa. Quando la necessità e l’entusiasmo di creare trovano, però, troppa resistenza nel mondo costituito o nella paura di perdere protezione e cura, il turbamento può farsi insostenibile.

Annota Zambrano: “l’adolescenza porta con sé l’ombra del suicidio”, ed è per questo che “educare l’adolescenza è salvarla, e salvare la sua potenza individualizzatrice e creatrice nel caos che la circonda”.[11] Quanto vere paiono oggi queste parole: segnalano che compito dell’educare è far trovare e far provare l’offerta propria della vita giovane in un teatro adeguato, in uno spazio di visibilità e di riconoscimento. Ed è anche di rispettare, serbato, il suo segreto, le sue dimensioni di unicità, irripetibilità, anche di incomunicabilità e mistero.

Seguendo questo sentiero di riflessione sul tempo di turbamento e sulla adolescenza siamo giunti su un limitare delicato e decisivo. Quali declinazioni potrà prendere un incontro in un mondo che si presenta ricco di paure e conflitti, di lacerazioni, e con prospettive e disegni incerti e frantumati? In un mondo da ritrovare e coltivare, da riconoscere e salvare nella sua possibilità e integrità; in un mondo da desiderare, per consegnarlo agli appena nati? Riusciremo ad assumere paure e conflitti salvando il desiderio e l’attenzione sull’a venire?

L’attrazione del nulla e un’alba nuova

In questo tempo si è riaperta la questione dell’uomo, e lo si vede nella forza che manifestano le forme in cui si esprime l’attrazione del nulla: il dissolvimento e la dispersione di tante vite dalle relazioni estenuate; la disposizione alla guerra e alla violenza; il cinismo indifferente di tanta spesa di intelligenza.

Cosa serbare come semente per continuare il cammino? quali aratri  serviranno? dove sarà l’acqua? Ci saranno luce e calore a chiamar fuori germogli? Domande nell’esodo, per il cammino oltre. Per alimentare la promessa. La categoria del ‘dopo’ forse non è adeguata, e non aiuta. Sarà piuttosto un riprendere un cammino ora così segnato da impoverimenti e da più acute diseguaglianze, da un più diffuso morso dell’incertezza… Peserà anche il ricordo della paura provata. Ci saranno tante assenze: di tantissimi fragili e vecchi, di tante memorie, e storie e comunità.

Chissà se, come Giacobbe dopo la lotta con l’Angelo, sciancato dalla ferita al fianco, all’uscita dalla  notte, sentiremo ancora benedizione su di noi e sull’umanità? La sentiranno le adolescenti e gli adolescenti che vivono la loro età come “nuova nascita”, come “rivoluzione” e turbamento, in un mondo in esodo, mentre l’umanità è scossa?

Dopo la notte, in esodo, non ‘torna’ il giorno, piuttosto si apre un’alba nuova, un nuovo giorno. Ma a condizione che la notte sia stata di lotta, di sperdimento anche, e insieme un tempo di verità, di conoscenza dei propri moventi profondi (distruttivi e generativi), e quindi di ‘respiro’ nuovo della coscienza.

Lì potremo seminare di nuovo nel bisogno di credere che in questo tempo è così provato, che pare così sfibrato e che si tende come la corda di un arco sul punto di rottura. Legando il bisogno di credere al desiderio e al compito di sapere, di conoscere.  Di essere responsabili. Bisogno e desiderio che portano dentro molte e molti adolescenti.

[1] I. Lizzola, Condividere la vita. Legami, cura, educazione, Roma, AVE, 2018.
[2] J. Kristeva, Il bisogno di credere, Donzelli, Genova, 2006.
[3] P. Gandolfi, Noi migranti. Per una poetica della relazione, Roma, Castelvecchi, 2018; G. Caio, I. Lizzola (a cura), Chiamati alla cittadinanza tra storie locali e globali, Roma, AVE,  2011
[4] La riflessione presentata in  Vita e Pensiero n 1/2016 è ripresa in C’è dell’altro. Saggi su psicoanalisi e religione, Vita e Pensiero, Milano, 2019,pp 107-ss e in La notte della giustizia. All’alba del perdono, Bologna, EDB, 2018, pp 54 ss.
[5] J. Kristeva,  La notte della giustizia all’alba del tramonto, Bologna, EDB, 2018,  p 55.
[6] G. Agamben, Cos’è il contemporaneo, Milano, Feltrinelli, 2008; D. Bruzzone, E. Musi (a cura), Aver cura dell’esperienza, Franco Angeli, Milano, 2021.
[7] F. Dolto, Adolescenza, Mondadori, Milano, 2005
[8] M. Zambrano, Per amore e per la libertà, Marietti, Bologna, 2021 p 35
[9] Ibidem, p 38.
[10] Ibidem, p 39.
[11] Ibidem, p 40.

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