A Cologno Monzese Sofia Castelli, 20 anni, è stata uccisa dall’ex fidanzato Zakaria Atqaoui, 23 anni. Se ne parla molto, anche per il carattere assurdo di questo assassinio. Le notizie che abbiamo letto sui giornali, fino a poco fa, riferiscono che Il killer stesso ha raccontato di essersi presentato a casa di Sofia la mattina di venerdì, con la scusa di portarle dei dolci. Nell’uscire aveva preso delle chiavi appese al muro, vicino alla porta dell’appartamento. Usando quelle stesse chiavi, si era in seguito introdotto nell’appartamento di Sofia. Ha aspettato che la giovane rientrasse dalla discoteca dove era andata con alcuni amici. Quando si è accorto che Sofia era rientrata senza alcun ragazzo, ma in compagnia della sua amica, è rimasto nascosto nell’armadio ad ascoltare la loro conversazione.
Si nasconde nell’armadio, aspetta che Sofia si addormenti. Poi la ammazza. Tutto è violento ancora prima della violenza finale
Ha detto di averle sentite chiacchierare della serata, nominare alcuni giovani, e di essersi per questo «ingelosito e arrabbiato». Ha poi ammesso di aver atteso che Sofia dormisse profondamente e di averla aggredita, usando un coltello da bistecca preso dalla stessa cucina di Sofia. L’assassino ha precisando che la ragazza ha avuto «una reazione minima», perché è stata sorpresa nel sonno.
Tutto è banale, come da infinite narrazioni simili. E tutto è violento: la sottrazione delle chiavi, l’entrata nell’appartamento, l’ascolto della conversazione. E poi, soprattutto, l’assassinio.
Ci risiamo, è il caso di dire. Non solo si moltiplicano questi assassini del macho deluso della “sua” donna, ma si moltiplicano anche i commenti. Ai tanti commenti già fatti vorrei aggiungere, sommessamente, il mio.
Mi impressiona, in questi fatti, la sproporzione fra l’enorme gravità del gesto e la facilità con cui lo si fa. Si può cercare di capire la gelosia, la forza selvaggia di sentimenti legati a delusioni amorose… Ma dal provare gelosia ad ammazzare, ce ne passa. Meglio: ce ne dovrebbe passare. E invece, si ammazza e soprattutto si ammazza con molta facilità. Mettiamo pure in conto che noi, osservatori esterni, abbiamo il giudizio facile, proprio perché siamo esterni. Ma, da esterni, possiamo anche, in casi come questi, valutare con più oggettività quella sproporzione: la fine di un affetto, da una parte, l’uccisione di una ragazza di vent’anni, dall’altra.
E’ venuta meno la elementare serietà delle azioni. Si ha l’impressione che si pongono gesti estremi solo perché si possono porre
A questo punto diventano secondarie perfino le considerazioni della libertà della ragazza di tagliare una relazione che aveva più prospettive per lei. Prima del rispetto del diritto di dire a un fidanzato andava rispettata il suo diritto di vivere.
E’ venuto meno, insieme a molte altre cose, il senso della serietà delle azioni. Molte, troppe azioni sono senza serietà, senza pensiero, senza ripensamento. Si fa perché viene la voglia, il ghiribizzo di fare. La libertà, negli anelli più deboli della società, è diventata incapacità di governare le proprie azioni, una drammatica superficialità.
Mi piacerebbe trovare qualcuno – certamente c’è – che cerchi di spiegare questa malattia. Forse perché si fa troppo, oppure perché si vede fare troppo, oppure perché si ottiene troppo con troppo poco: ci basta pigiare su un tasto di una tastiera da computer e il mondo intero mi si apre davanti. Fare e strafare è diventato banalmente facile.
E, siccome è facile, si fa, si passa all’azione, si pongono anche le azioni più pesanti per il semplice motivo che si possono fare.