La moderazione è una virtù?

L’uomo smarrito. L’incontro inatteso
Giugno 28, 2024
Il tragitto drammatico di Giairo
Giugno 30, 2024
La moderazione è stata spesso confusa col moderatismo e usata per addomentare la società.
I cattolici sono talvolta diventati la gamba moderata degli schieramenti politici.
Il grave rischio di dimenticare la solidarietà in nome del moderatismo

Sì, ma non nel senso in cui normalmente la s’intende. Un pensiero morale tradizionale ha legato la virtù, ogni virtù, ad una “misura” (modus), donde viene il nome di “moderazione”. 

Moderazione e moderatismo in politica

Essa fu interpretata come il giusto mezzo tra due eccessi, entrambi da evitare. Ma come si determina quel giusto mezzo è sempre stato difficile dire. Il Manzoni s’era permesso di fare della fine ironia. Ne I Promessi sposi, parlando della giovinezza del card. Federigo Borromeo, raccontava come ebbe a combattere in gioventù con quei suoi istitutori che “predicano sempre che la virtù sta nel mezzo; e il mezzo lo fissan giusto in quel punto dov’essi sono arrivati, e ci stanno comodi”. 

La moderazione è dichiarata componente fondamentale della politica. Perché essa, moderando i desideri eccessivi dei singoli, crea la possibilità di un incontro, a metà strada, tra diversi e impedisce al conflitto di diventare il fine d’una città.  E però deve stare attenta a non trasformarsi in mezzo per addormentare la società. Spesso la moderazione è invocata infatti da chi vuole difendere una sua posizione di privilegio. In tal caso, meglio è chiamata moderatismo e blocca il movimento storico stesso. 

I cattolici e la scelta sbilanciata del valore più debole

Un elogio acritico della moderazione sembra avere imposto al cattolico di rappresentare la “gamba moderata” degli schieramenti politici. E poco si è pensato che il cattolico ha nella sua struttura spirituale e nel suo bagaglio dottrinale una vocazione ad una socialità avanzata, addirittura rivoluzionaria che è un incendio: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!” (Lc 12,49).

È una socialità che ha caratteri diversi da quella, imperante al nostro tempo, dei diritti individualistici, nei quali spesso viene fatto risiedere il progressismo e che è invece la forma contemporanea che ha preso l’etica borghese della libertà assoluta del desiderio del singolo. La socialità cristiana punta ai diritti dell’uomo/donna in relazione, cioè lega tutti i diritti dei singoli ad una responsabilità verso l’altro. Raramente sceglie il valore di mezzo, su cui si addensano facili i consensi, ma piuttosto quello che è più a rischio di perdersi, che sta alla periferia sociale. La moderazione cristiana non è perciò la premessa ideologica della equidistanza, ma la scelta sbilanciata del valore più debole. 

Quindi, se la moderazione è perseguire il giusto mezzo, si intende dire che essa sceglie l’eccesso che è in sofferenza per ristabilire l’equilibrio che la storia ha sbilanciato. Questo fu l’impulso che fece nascere la questione sociale (e la dottrina sociale) in casa cattolica alla fine del secolo XIX. Non bastava il principio della ”legge uguale per tutti”, quando non tutti erano uguali per condizioni storiche e non erano in grado di avvalersi della legge. Per questo le prime Encicliche sociali condannavano sia il comunismo marxista, materialista e ateo, sia il liberalismo antiumano che garantiva le forme democratiche, ma bloccava di fatto l’accesso dei poveri al potere. 

Un moderatismo al quale si opposero Roncalli e Radini-Tedeschi

Una moderazione male intesa (clerico-moderatismo) fu alla base dell’accordo elettorale tra cattolici e liberali agli inizi del secolo XX, a cui si opposero, non senza pagare conseguenze, il vescovo Radini Tedeschi e il giovane don Roncalli. Il moderatismo sociale fu il pedaggio che la Chiesa ritenne di dover pagare al liberalismo – e poi al fascismo -, per difendere altri valori, religiosi ma anche di politica ecclesiastica, ritenuti a rischio.

Per contrastare il comunismo lontano, si diede avvio a quel matrimonio della religione con l’etica borghese, tipicamente individualistica, che sarebbe sopravissuta anche alla caduta del comunismo e avrebbe eroso i valori cristiani dall’interno, nel nome della libertà assoluta dell’individuo, che divenne alla fine creatore della propria tavola di valori, compresi quelli religiosi. E avrebbe bloccato la vita democratica italiana per tanti anni in una lotta tra Guelfi e Ghibellini che faceva azzuffare i due grandi partiti popolari (cattolici e sinistra) e ridere la borghesia individualista.

I cattolici e il rischio che lo spirito di solidarietà finisca

Preoccupa che ancora oggi ci sia chi, dentro il mondo cattolico (o quel che ne resta o quel che tale si autodefinisce), neghi il suo sostegno ai diritti sociali a causa della presunta presenza di ideologie che ormai sono evaporate. Ci pare che il pericolo comunista, che abbiamo combattuto quando sembrava reale, sia oggi evocato per annullare lo Stato sociale che è la più grande conquista politica del secolo XX. Dove sta andando la socialità cristiana? Che fine ha fatto la grande idea evangelica, che dagli inizi del cristianesimo arriva fino al Concilio e alle Encicliche sociali contemporanee, che la proprietà è data in prestito a chi deve farla fruttare a vantaggio di tutti? 

Se i tradimenti della socialità nel nome della moderazione non hanno oggi più paura della rabbia del povero, rassegnato e impotente, può arrivare un nuovo, più sottile e non meno pericoloso, vendicatore: l’indebolimento dello spirito di solidarietà. Esso comincia a manifestarsi contro i lontani, visti come aggressori e comunque oggettivamente ingombranti, ma si approssima sempre più ai vicini e arriva, per una ineluttabile espansione di onda, fino a renderci disinteressati di qualsiasi altro e l’altro disinteressato di noi. Non ci si può illudere di arrestare questo virus al di fuori del nostro raggio vitale e impedirgli di danneggiare, prima o poi,  anche noi, diventando cultura antirelazionale che, prima o poi, punirà tutti e romperà il patto sociale che tiene insieme la città. 

Se uno Stato che rinuncia alla sua natura di Stato sociale tradisce la sua funzione di solidarietà e lascia tutti in balia del mercato e sostiene i forti che possono sfruttarlo, è forse tempo di studiare e proporre nuove forme di vita associata: forme di solidarietà comunitarie (anche, perché no?, ecclesiali), quali quelle che crearono i nostri antenati nelle confraternite e i nostri bisnonni nelle società di mutuo soccorso. 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


The reCAPTCHA verification period has expired. Please reload the page.