
Il tema è veramente molto complesso per i delicatissimi e particolarmente complessi profili, oltre che giuridici, etici, morali, filosofici, politici. Dietro alle varie posizioni espresse si stratificano visioni del mondo, dell’uomo, differenti, anzi in molti casi decisamente contrastanti.
Non intendo qui aggiungere ulteriori spunti all’ampio dibattito sul tema del fine vita, ma vorrei soffermarmi su quello che ritengo una criticità del nostro attuale sistema politico legislativo, ossia della incapacità del Parlamento di intervenire adeguatamente su temi così importanti.
Il dibattito sul fine vita è in corso da anni: si consideri che il primo disegno di legge presentato in parlamento risale addirittura al 1984. Nella totale inattività del legislatore, sono state promosse azioni giudiziarie che hanno portato alla citata sentenza della Corte Costituzionale n. 242/2019, peraltro dopo che nell’ottobre 2018 la Corte aveva (invano) sospeso per un anno il giudizio per dar modo al Parlamento di intervenire in materia.
Ma perché accade questo nonostante sembri che tutti affermino che, dopo la sentenza della Corte Costituzionale e come dalla medesima auspicato, sia necessario un articolato intervento del legislatore atto a definire un quadro giuridico chiaro e preciso e che dia finalmente operatività alla sentenza in linea con dettato costituzionale?
Il motivo va ricercato nel fatto che per il Parlamento è difficile, anzi insidioso, intervenire in temi etici e/o particolarmente sensibili (vedi il caso delle riforme pensionistiche approvate solo da governi tecnici dove i partiti possono evitare di “sporcarsi le mani”). I partiti, chiamati a elaborare i testi legislativi, sono troppo condizionati dagli interessi di parte, spesso addirittura in rapporto a situazioni del tutto contingenti (ad es. in prossimità delle elezioni), troppo legati agli esiti dei sondaggi, troppo impegnati nella battaglia politica intesa a guadagnare consensi e a intestarsi successi piuttosto che non a risolvere problemi spinosi.
Questo vale sia per le coalizioni di maggioranza sia per i partiti di opposizione. “Quando un tema viene messo in mano ai politici, subito viene avvelenato”, disse una volta un autorevole commentatore inglese, riferendosi al fatto che i politici ne fanno un terreno di lotta per acquisire qualche vantaggio di posizione o mettere in difficoltà la controparte. Il Parlamento, aggiungeva, è forse l’organo meno adatto a disciplinare certe materie che richiedono competenza, visioni a lungo termine, interventi misurati con il cesello! Per fortuna in Italia abbiamo la Corte Costituzionale, composta da giudici di altissimo profilo, che non dovendosi preoccupare né degli esiti dei sondaggi né della tenuta di una coalizione o degli equilibri delle minoranze, si assume il compito di sciogliere anche i nodi più spinosi (in parte forse anche supplendo i compiti del legislatore).
Come già ben rilevava Franco Pizzolato l’8 febbraio su questo blog, la politica di oggi ha smarrito la capacità di dialettica costruttiva tra maggioranza e opposizione secondo regole di correttezza costituzionale per il superiore interesse del Paese.
Rammento infine che dalla citata ordinanza della Corte Costituzionale dell’ottobre 2018 ad oggi si sono susseguiti ben 4 governi di diversa colorazione politica (Conte 1, Conte 2, Draghi e Meloni): non è quindi questione né di destra né di sinistra è questione di volontà e di livello della classe politica. Anche l’attuale iter legislativo in Senato si prospetta in tempi certamente non brevi.
P.S.
Ripeto, senza entrare nel merito della questione, vorrei richiamare quanto dichiarato nella Relazione di Sintesi della prima Sessione del Sinodo dei Vescovi del 28.10.2023 che al paragrafo 15 “Discernimento ecclesiale e questioni aperte” umilmente dichiara:
Alcune questioni, come quelle relative all’identità di genere e all’orientamento sessuale, al fine vita, alle situazioni matrimoniali difficili, alle problematiche etiche connesse all’intelligenza artificiale, risultano controverse non solo nella società, ma anche nella Chiesa, perché pongono domande nuove. Talora le categorie antropologiche che abbiamo elaborato non sono sufficienti a cogliere la complessità degli elementi che emergono dall’esperienza o dal sapere delle scienze e richiedono affinamento e ulteriore studio. È importante prendere il tempo necessario per questa riflessione e investirvi le energie migliori, senza cedere a giudizi semplificatori che feriscono le persone e il Corpo della Chiesa.