Continua il dramma dell’alluvione in Romagna. Una enorme catastrofe. Come sempre capita, quando le catastrofi sono vaste e l’informazione continua, si cerca qualche immagine supplementare nel nostro bagaglio di ricordi personali e comunitari, non tanto per capire, quanto per riuscire, consolati da quelle immagini, ad attraversare il dramma.
Qualcuno ha usato, nei giorni scorsi, un’allusione mitologica suggestiva, un po’ strana in mezzo a tutto il dramma. Commentando la foto di un carabiniere che porta a nuoto un anziano, qualcuno ha affermato che la “foto ricorda la scena mitologica di Enea che fugge da Troia con il padre Anchise in groppa”. Il ricordo scolastico è suggestivo, infatti. Enea è il principe dei Dardani. Partecipa alla guerra dalla parte di Priamo, re di Troia e dei troiani. Il suo ruolo è secondario nell’Iliade di Omero. Diventa, invece, protagonista nell’Eneide di Virgilio, dove si narra la fuga da Troia occupata dai greci, in preda alle fiamme, le lunghe peregrinazioni fino all’approdo sulle sponde del Lazio e il matrimonio con la principessa Lavinia, figlia del re locale Lavinio.
“Sulle spalle un passato che crolla da tutte le parti e per la mano ha un avvenire che ancora non si regge sulla gambe”
L’immagine precisa dell’eroe che fugge dalla città in fiamme, rimanda a Giorgio Caproni (1912-1990), il poeta che ha pubblicato, tra le altre, una sua racconta di poesie, intitolata “il passaggio di Enea”. Il poeta racconta di aver preso ispirazione per questo ritolo da una statua a Genova, “in Piazza Bandiera presso l’Annunziata, una delle piazze più bombardate della città”. La statua rappresenta Enea che porto in groppa il padre Anchise e tiene per mano il figlio Ascanio. “Mi colpì quest’uomo, quest’Enea, (…) (proprio una statua banale, nella rappresentazione più scolastica), e allora vidi in Enea non la solita figura virgiliana, ma proprio la condizione dell’uomo contemporaneo della mia generazione, solo nella guerra, con sulle spalle un passato che crolla da tutte le parti e che lui deve sostenere, e che per la mano ha un avvenire che ancora non si regge sulla gambe” (L’Opera in versi, pag. 1262).
Splendida immagine, facilmente traslocabile. Anche per la Chiesa. Anchise – il nostro passato – è molto pesante e Ascanio – il piccolo che teniamo per mano – deve ancora crescere: non si regge sulle gambe, infatti. E siamo divisi fra il vecchio che ci ha dato la vita e il futuro al quale noi abbiamo dato la vita. E troviamo difficile l’equilibrio: più pensiamo a uno e più siamo portati a dimenticare l’altro. Più curiamo il passato e meno energie abbiamo per progettare il futuro.
Siamo con l’acqua alla gola e non disponiamo di qualche carabiniere che ci porta in salvo
Troia, la “città”, la nostra società dove viviamo, non è in fiamme. Ma è spesso inospitale. Soprattutto per i credenti sembra che non ci sia più posto per noi. Potremmo andarcene via tranquillamente o ritirarci a vita privata e non far più finta di niente. Ma è spesso la nostra stessa fede che rende inquieti e abbiamo l’impressione che le fiamme le abbiamo dentro di noi. O, se vogliamo svariare dalle fiamme di Troia alle acque dell’alluvione, ci sembra di avere l’acqua alla gola e non abbiamo sempre qualche carabiniere che ci porta fuori pericolo. Anzi dovremmo essere noi i carabinieri specializzati in salvataggi. Ma talvolta, spesso le forze non ci sono…