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Il ritorno dei Magi. Custodire la luce

Immagini per “vedere la Parola”. A cura di Giuseppe Sala​
I testi delle scritture che troviamo nella liturgia dell’Epifania illuminano acutamente la situazione dei cristiani nella storia.
Raccontano quanto è vissuto dalle prime comunità e indicano, insieme, il nostro compito di discernimento e testimonianza.
Proponiamo una riflessione con l’aiuto di un antico affresco che raffigura il ritorno dei Magi a Babilonia.

 

 

 

 

Se abbiamo imparato a conoscere un po’ la Bibbia senza leggerla troppo ingenuamente, appare evidente che il racconto di Matteo sul viaggio dei Magi non fa riferimento a fatti realmente accaduti nei termini proposti dalla narrazione.

I lontani diventano vicini

La prima comunità cristiana che fa capo all’evangelista, quando parla dei Magi, traduce in immagini quello stesso testo di Isaia, al cap. 60, che ascoltiamo proclamato nella prima lettura:

Cammineranno le genti alla tua luce, verrà a te la ricchezza delle genti. Uno stuolo di cammelli ti invaderà, tutti verranno portando oro e incenso e proclameranno la gloria del Signore.

Dopo la Pasqua, iniziata l’esperienza dei primi cristiani, appare chiaro questo senso del Natale, il risultato paradossale prodotto da Gesù in Israele: coloro che un tempo apparivano lontani diventano improvvisamente vicini, e quelli che parevano vicini sono ora tragicamente lontani.

Il Figlio di Dio nasce a Betlemme, nella terra di Davide illuminata dalla promessa del Messia, dalla legge di Mosè e dall’annuncio dei Profeti. Ma proprio coloro che sono stati preparati da generazioni e formati da questa parola, non lo riconoscono.

Lo accolgono invece altri che vengono da lontano, cercatori di Dio e della verità. Sono coloro che scrutano i libri e guardano i segni del cielo e quelli nel cuore: i greci, i pagani, i gentili. Sono “le genti” – come scrive Paolo nella seconda lettura – le quali accedono così alla stessa eredità e sono partecipi della stessa promessa. Accolgono la predicazione degli apostoli e si convertono con grande gioia, riconoscendo ciò che riempiva la loro attesa.

I Magi ritornano a Babilonia

A Kalopanayiotis, paese sull’isola di Cipro, nel Monastero di Agios Ioannis Lampadistis, si trova un affresco risalente al primo Cinquecento. E’  di autore ignoto e raffigura il ritorno dei Magi a Babilonia dopo il loro viaggio a Betlemme.

Illustra una parte dell’Akathistos, inno mariano che si recita in piedi durante la Quaresima e che narra vari episodi della Natività in 24 strofe.

Lo stile dell’affresco risente di influssi bizantini e italiani: in quel periodo Cipro era sotto il dominio veneziano.

La parte inferiore del dipinto è assai colorata, il deserto e la terra sono un mare rosso e giallo sul quale corrono i cavalieri in abiti sgargianti. Nella parte superiore invece il colore è quasi assente: la notte nera avvolge neri profili di monti sui quali si stagliano le torri e le mura imponenti di una città grigia e bianca. In primo piano i Magi sui cavalli in corsa. Non si distinguono i loro visi, sono di spalle, stanno tornando a Babilonia al termine del viaggio di ritorno da Betlemme.

Immagine assai inusuale e sorprendente rispetto all’iconografia tradizionale che raffigura i Magi chini davanti al bambino mentre lasciano i doni.

È come se l’osservatore li vedesse qui dalla Terra Santa scomparire verso Oriente facendo il cammino inverso rispetto a quello della stella che li ha guidati all’andata.

La grande città che li attende appare singolarmente deserta, quasi abbandonata, rimanda alle raffigurazioni della torre di Babele. I Magi stanno portando alle loro case il vangelo del Natale o il loro viaggio risprofonderà nella confusione di Babilonia-Babele perdendosi nuovamente tra gli idoli e l’alterità dell’Oriente?

 

 

 

Di loro non sentiremo più parlare

Sentimento fiabesco e profondamente malinconico. L’oriente qui raffigurato sembra quello delle Mille e una notte: l’immensa città turrita e bianca, le vesti esotiche dei re-cavalieri rosse come le onde del deserto, agitato e mosso. È un mondo meraviglioso, eppure c’è un senso di silenzio e di vuoto. Il cielo notturno completamente buio, sugli spalti della città non appare nessuno.

I Magi galoppano in avanti, non si voltano più indietro, di loro non sentiremo più parlare. E’ come se anch’essi siano avviati verso l’oblio, presto inghiottiti dalla grande porta della città scura come la notte, forse allusione alla morte e allo sprofondare della vita in un grande mistero.

Curiosamente gli unici volti e sguardi che vediamo sono quelli dei musi dei cavalli, i soli che si voltano. Anche le loro espressioni sono di stupore e malinconia, lo slancio del movimento è frenato da una tensione contraria. Sembra non vogliano procedere verso la città. Guardano verso di noi quasi a interpellarci chiedendoci di non dimenticare i Magi, il loro viaggio e la loro storia.

Il carattere profetico e spirituale dell’arte è sempre declinato in termini sospesi, interrogativi, aperti. Meraviglia e malinconia appartengono allo spirituale, al cammino verso l’assoluto e il divino, verso qualcosa che si approssima e ci chiama e al tempo stesso ci sfugge e non possiamo possedere appieno. E’ una realtà che si lascia intravvedere un giorno e poi è da riguadagnare alla vita e alla coscienza ascoltando di nuovo lo Spirito che parla all’interiorità del cuore.

Noi e la “grande città”. Senza nostalgie

E noi nel nostro viaggio cosa possiamo mostrare ai fratelli della grande città, cui sembra importare assai poco il discorso cristiano? La città è accogliente oppure ostile? Siamo noi stessi che rischiamo di perderci in essa dimenticando la luce che abbiamo scorto?

Sognare il recupero di un passato regime di cristianità è un sogno nostalgico che appare ridicolo e poco evangelico. E anche un poco ridicole, se ci è permesso, sono quelle rappresentazioni nelle piazze con figuranti vestiti da magi, quasi a rassicurarci e consolarci, a difesa della nostra identità e dei nostri “valori”, parola magica continuamente abusata cui non corrisponde più nulla.

Accogliamo le ricchezze nuove delle genti, l’oro e l’incenso che ognuno porta in sé. Proponiamo la luce di Betlemme – come il tesoro e la stella – a chi già li custodisce nel cuore, intravvede e cerca quel mistero di pietà e riconciliazione di Dio per gli uomini, culminato nella Pasqua di Cristo.

La preoccupazione semmai è proprio constatare che il nostro è un cristianesimo stanco e vuoto, ridotto a lettera, a forma, a rappresentazione. Forse non mancano i corsi biblici, ma manca un cuore secondo il Vangelo.

Rischiamo di essere come Erode, gli scribi e gli abitanti di Gerusalemme, che custodiscono i sacri libri, la tradizione e le liturgie, ma poi, quando arriva l’evento decisivo non lo comprendono e non lo riconoscono. Anzi prendono a pretesto la lettera del libro per respingere Gesù. Non è forse ciò che accade a volte anche oggi?

Proviamo a recuperare il Vangelo con la sua novità e la sua forza di speranza, come invenzione di vie umane da proporre a una società che sta soffocando sotto il peso di molti problemi e di molte chiusure. Annunciare il Natale è anche credere alla possibilità per ognuno di risollevarsi e accogliere quella luce che in Gesù si è fatta uomo e trasfigura la vita.

Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te.

Allora forse ci accadrà come ai Magi che “al vedere la stella provarono una grandissima gioia”.

 

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