Nella limpida navata di San Pancrazio, in due cappelle a sinistra, la seconda e la terza, le pale d’altare sono edicole ben illuminate che accolgono statue di legno “vestite” con abiti in tessuti preziosi: la prima rappresenta Anna, in fastosi vestiti di broccato, che insegna a leggere a Maria bambina, già incoronata da dodici stelle; nella seconda teca la Madonna, sontuosamente vestita, presenta il Bambino che regge il mondo.
La devozione delle statue “vestite” ha conosciuto dalla fine dl ‘500 una grande diffusione. Nell’archivio dei ”Beni culturali ecclesiastici” della diocesi di Bergamo più di 400 schede riguardano statue da vestire. Le più antiche risalgono al tardo ‘500; più della metà sono settecentesche.
Nel cristianesimo la buona notizia di un Dio che accetta di condividere in tutto la sorte umana, vestire un simulacro inserendolo nei costumi del tempo assume significati di “confidenza” con un divino vicino che ascolta, condivide, comprende.
Alla fine dell’ ‘800 le statue vestite risultano poco adatte ad ispirare autentica devozione. Cessa la loro produzione e ne viene limitato il culto, quasi relegato alla “bassa religiosità cattolica” dei ceti popolari.
Ben diversa l’assoluta modernità della Via Crucis. Quattordici piccoli monitor in plastica chiara sono appesi ad altezza d’uomo su lesene e colonne lungo il perimetro della navata. Sembrano spenti.
Un biglietto all’ingresso principale informa ”Per vedere le stazioni della Via Crucis puntare sui video la torcia del proprio cellulare da una distanza di due metri…”.
Così facendo dai monitor appaiono immagini in bianco e nero di scene di teatro, come set cinematografici, dove composizioni di attori figuranti ricreano la sequenza delle canoniche stazioni della Via Crucis. Le immagini in ombra sono tormentate da lampi di luce, la visione è sfuocata; chi guarda deve cercare un proprio punto di vista.
L’installazione è stata creata dal Collettivo artistico Ferrariofréres nel 2011. Il Collettivo è molto presente sulla scena dell’arte contemporanea, non solo a Bergamo. Tra cinema, fotografia e pittura, compongono immagini al limite del surreale, dove, su scenografie immaginifiche, spesso con riferimenti a luoghi e personaggi dell’immaginario collettivo, si muovono figure, storie, animali e piante. Saranno loro a creare nel 2014 i due grandi pannelli della Via Crucis nella chiesa del nuovo ospedale dedicata a San Giovani XXIII.
L’installazione originaria prevedeva però una diversa, suggestiva fruizione: chi entrava in chiesa, attratto dall’inusuale presenza dei monitor, si avvicinava e il video, grazie ad una fotocellula, si illuminava “rivelando” la scena della Passione. All’allontanarsi il video ritornava cieco, come se la sacra rappresentazione avesse bisogno di uno sguardo e di una presenza per esistere.
Le sacre rappresentazioni sono la prima forma di illustrazione dei fatti del Vecchio e del Nuovo Testamento e saranno i frescanti medievali dell’età di Giotto a “fermare” sui muri e sulle tavole le scene di teatro allestite sugli altari, avviando quella che nei secoli sarà la grande arte.
Il teatro e l’arte rendono facili cose difficili, coinvolgono, spiegano, creano sentimenti, dilatano la realtà verso dimensioni nuove.
Anche le figure di legno rivestite di preziose stoffe sfondano l’immaginazione, entrano nelle vicende quotidiane, come gli attori in posa che, materializzandosi da spazi virtuali, raccontano una buona novella.
I due apparati di San Pancrazio nei diversi tempi delle culture, con differenti modi, nonostante le apparenze, sono accomunati dalla medesima istanza: testimoniare una presenza.
Osvaldo Roncelli
Post scriptum
Per la Via Crucis di san Pancrazio sarebbe fortemente auspicabile il ripristino della sua originale fruizione (è noto che l’arte contemporanea è cosa delicata, fragile, che richiede una complessa conservazione; già è complicata di per sé: se rotta, si capisce ancora meno!).