
“La verità è che non siamo ancora liberi, abbiamo conquistato soltanto la facoltà di essere liberi, il diritto di non essere oppressi, non abbiamo compiuto l’ultimo passo del nostro cammino ma solamente il primo su una strada che sarà ancora più lunga e difficile, perché la libertà non è soltanto spezzare le proprie catene, ma anche vivere in modo da rispettare e accrescere la libertà degli altri. La nostra fede nella libertà dev’essere ancora provata.”
Sono le ultime parole con cui Nelson Mandela conclude la sua autobiografia. Parole che mi hanno sempre colpito perché mi pare fotografino con lucidità il tempo presente.
Il mantra del tempo è l’urgenza e la necessità che gli individui (non le persone) abbiano sempre più spazi e possibilità. Un’idea incontestata e incontestabile. Una progressiva monadizzazione delle esistenze che abbiamo confuso con l’idea e la convinzione di un aumento delle libertà. Più abbiamo possibilità più siamo liberi. Un ventaglio così ampio che ha portato, tra le altre cose, al fatto che la moltiplicazione delle opzioni ha avuto come conseguenza la perdita di senso di ciascuna di queste. Tutte sembrano equivalenti, l’importante è non perderne una. Con un mainstream dominante: in nome della libertà assoluta (in termini quantitativi) sono tanto più libero quanto meno ho legami. Il legame è nemico della libertà.
Eppure il pensiero dominante pare non aver risolto le questioni di fondo che agitano il cuore umano. E poi perché sembra che non ci sia più niente da desiderare. Nessuna proiezione sul futuro. Finite le grandi narrazioni che hanno fatto sperare (e dannare) un’intera generazione, cosa è rimasto? Al massimo, chi ce la fa, si oppone al degrado. Ma niente di più.
Nel frattempo, alla disintegrazione antropologica (alla quale coraggiosamente tanti giovani si oppongono) è avvenuto molto altro Perché questo schema, quello della libertà assoluta, è stato applicato su scala sociale ed economica. Figli di un liberismo selvaggio che si è accompagnato – nel silenzio generale – ad un darwinismo sociale della peggior specie. Lo vediamo in almeno tre ambiti:
Nel 2025 l’overshoot day per l’Italia – ovvero il giorno che segna il consumo di tutte le risorse prodotte per l’intero anno – è stato fissato al 6 maggio (nel 2024 era il 19 maggio, nel 2023 era il 2 agosto). Vuol dire che a partire dal 7 maggio 2025, anno del Giubileo, dopo soltanto 127 giorni dall’inizio dell’anno, noi saremo già in debito con la Terra. Abbiamo un problema serio con il nostro modello di sviluppo.
Lo sappiamo: in Italia le nascite sono calate a partire dal picco dei baby boomer del 1964, quando nacque più di un milione di bambini. Gli studiosi prevedono che il gruppo più numeroso nel 2025 non saranno più i sessantenni come nel 2024, ma i sessantunenni. Ma cosa succederà nei prossimi anni? Nel 2023 l’Italia ha registrato circa un terzo dei nati del 1964. Mentre la speranza di vita media è cresciuta a 80,5 anni per gli uomini e 84,8 per le donne. Gli esperti lo chiamano “l’”eccezionalismo demografico italiano”: a questi ritmi di natalità (1,2 figli per donna in età fertile), gli italiani nel 2040 saranno tre milioni in meno e molto più vecchi. È un dato che avrà impatti enormi su mercato del lavoro, crescita economica, pensioni e sanità.
I rumors dicono che presto saranno di nuovo toccate le pensioni. La marea di debiti accumulate fa sì che abbiamo scaricato il costo del futuro sui nostri figli e sui nostri nipoti. La terra (ma diciamo pure la ricchezza) che abbiamo ricevuto appartiene anche a coloro che verranno, scrive papa Francesco nella Laudato Sii.
In tutto questo, si alza forte una domanda: dov’eravamo come cristiani? Cosa è accaduto perché tacessimo? Don Lorenzo Milani, nel lontano 1958 (quasi settant’anni fa!), conclude Esperienze Pastorali con una lettera all’oltretomba ai missionari cinesi (ai quali aveva dedicato il testo)
“Cari e venerati fratelli, voi certo non vi saprete capacitare come prima di cadere noi non abbiamo messa la scure alla radice dell’ingiustizia sociale. È stato l’amore dell’”ordine” che ci ha accecato.
Sulla soglia del disordine estremo mandiamo a voi quest’ultima nostra debole scusa supplicandovi di credere nella nostra inverosimile buona fede.
(Ma se non avete come noi provato a succhiare col latte errori secolari non ci potete capire).
Non abbiamo odiato i poveri come la storia dirà di noi.
Abbiamo solo dormito.
E’ nel dormiveglia che abbiamo fornicato col liberalismo di De Gasperi, coi congressi eucaristici di Franco. Ci pareva che la loro prudenza ci potesse salvare.
Vedete dunque che c’è mancata la piena avvertenza e la deliberata volontà.
Quando ci siamo svegliati era troppo tardi. I poveri erano già partiti senza di noi.
Invano avremmo bussato alla porta della sala del convito.
Insegnando ai piccoli catecumeni bianchi la storia del lontano 2000 non parlate loro dunque del nostro martirio.
Dite loro solo che siamo morti e che ne ringraziamo Dio.
Troppe estranee cause con quella del Cristo abbiamo mescolato. Essere uccisi dai poveri non è un glorioso martirio.
Saprà il Cristo rimediare alla nostra inettitudine. E’ lui che ha posto nel cuore dei poveri la sete della giustizia. Lui dunque dovranno ben ritrovare insieme con lei quando avranno distrutto i suoi templi, sbugiardati i suoi assonnati sacerdoti.
A voi missionari cinesi figlioli dei martiri il nostro augurio affettuoso.
Un povero sacerdote bianco della fine del secondo millennio.”