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La “crescita sostenibile” è diventata desiderabile

Investire in prodotti eco-sostenibili rende.
Ma i cambiamenti costano comunque. Le auto elettriche, per esempio…
Intervista esclusiva a Nando Pagnoncelli

Nella puntata precedente di questa conversazione con Nando Pagnoncelli, presidente dell’istituto di studi demoscopici Ipsos Italia, avevamo scoperto che la sensibilità di noi italiani per la tutela dell’ambiente è decisamente elevata, anche su scala europea («Oggi siamo il primo Paese in Europa per raccolta differenziata, con una quota dell’83,6% del totale dei rifiuti»).

«Almeno in Italia – prosegue Pagnoncelli – si sta affermando una profezia (o un auspicio) di uno dei padri dell’ambientalismo contemporaneo, Alexander Langer: “La conversione ecologica – aveva affermato nel 1994 – potrà affermarsi soltanto se diventerà socialmente desiderabile”».

Detto diversamente: se non sarà più un fenomeno di nicchia, una posizione propria di uno sparuto gruppo di idealisti. 

«Oggi, un’opzione a favore dell’ambiente – in termini di scelte e di consumi – risulta “desiderabile”. Come Ipsos, abbiamo condotto degli studi, aggiornati periodicamente, da cui emerge che tre motivazioni sostengono dei comportamenti improntati alla “sostenibilità”: la prima è di ordine etico-valoriale; la seconda è la paura (il timore per il cambiamento climatico in corso e per le condizioni del pianeta che consegneremo alle generazioni a venire); una terza motivazione – piuttosto inedita – è invece collegata al tema della “qualità”».

In che senso? 

«Nel senso che la qualità dei prodotti “eco-sostenibili” è considerata migliore. Questo principio non si applica solo ai prodotti alimentari: l’elettrodomestico con una certificazione di “tripla A” è ritenuto migliore rispetto a un altro che non arriva a tale livello. Si ritiene che il primo, oltre ad avere un minore impatto sull’ambiente, sia stato progettato secondo criteri più innovativi, garantendo così una maggior durata e prestazioni più elevate. È idea condivisa che, perché un prodotto consegua un massimo grado di certificazione, si sia dovuto investire molto in fase di progettazione e fabbricazione».

In passato, si era portati a pensare che il prodotto eco-sostenibile fosse un po’ più «misero»: la decisione di acquistarlo era prova di un atteggiamento sobrio, se non proprio «ascetico».

«Sì, secondo l’ideale di una “decrescita felice”. Oggigiorno, invece, nessuno crede a una decrescita più o meno felice: la stragrande maggioranza della popolazione crede in una crescita sostenibile. E la reclama, per i motivi a cui già ho accennato. Anche per questo, le aziende – al di là del fatto che i manager possano essere personalmente sensibili al tema – sono consapevoli che investire in sostenibilità ha effetti positivi a livello reputazionale (e, quindi, commerciale)».

Il consumatore italiano, dovendo comprare – poniamo – una camicia di lino, è disposto a pagarla di più, qualora il fabbricante fornisca delle garanzie sulla sostenibilità del prodotto? Anche riguardo alla sostenibilità sociale, intendiamo: vale a dire, che siano assicurate condizioni lavorative e un salario decoroso a dei lavoratori che, magari, quella camicia l’hanno prodotta in Bangladesh.

«Qui la questione un po’ si complica, nel senso che a una domanda del genere, posta in un sondaggio, non costa nulla rispondere di sì, per fare bella figura. Però, di fatto, quando noi domandiamo: “Quanto spenderesti in più?”, la disponibilità media dichiarata – per un bene che non sia stato prodotto sfruttando il lavoro minorile, e così via – raggiunge il 10%. Questa percentuale ovviamente varia secondo le categorie di prodotti: per acquistare un’automobile, per esempio, pochi sarebbero disposti ad accollarsi questo sovrappiù di spesa». 

Se abbiamo capito bene, la sensibilità degli italiani sull’aspetto della sostenibilità è andata crescendo, negli anni, anche grazie a un’attività «educativa» condotta dalle istituzioni su questo tema: i cittadini sono stati convinti, per esempio, che effettuare la raccolta differenziata dei rifiuti non sia una perdita di tempo. Lei ha appena accennato al caso dell’acquisto di un’automobile. Per una famiglia con un reddito medio non potrebbe però risultare assai oneroso, in un prossimo futuro, comprare un’auto elettrica, conforme alle direttive dell’Unione Europea?

«Questo è un punto molto importante. Tutti i processi di transizione dovrebbero essere accompagnati: se questo non avviene – o avviene in misura insufficiente -, può diffondersi il timore che questi passaggi abbiano conseguenze pesanti per i cittadini, in termini economici od occupazionali. Per decisione della Commissione Europea, dal 2035 non si potranno più commercializzare auto con motore endotermico: è evidente che, mentre si procede verso un cambiamento così drastico, occorre che chi governa si faccia carico di quanto ne potrebbe derivare. C’è bisogno di provvedimenti che garantiscano una riconversione produttiva, il reimpiego dei lavoratori e un sostegno a tutti i soggetti obiettivamente danneggiati in questo processo. Questo, per quanto attiene all’aspetto occupazionale. Però, diciamocelo: quando sono comparsi i primi cellulari, non è che i produttori di gettoni e di cabine telefoniche fossero entusiasti di questa novità. Tuttavia, nel tempo, abbiamo visto quanta occupazione sia stata creata dal mercato degli smartphone e degli iPhone».

Per quanto riguarda invece gli acquirenti?

«In questo caso, occorrerà assicurare degli incentivi all’acquisto di un’auto elettrica, perché non tutti sono nella condizione di poter sostituire il proprio autoveicolo con altro più ecologico, ma anche nettamente più costoso. Tale questione interpella in primis chi governa. Nello stesso tempo, le forze politiche dovrebbero evitare di cavalcare le paure dei cittadini: spesso però, per ragioni di ricerca del consenso, tendono proprio a enfatizzare le possibili ricadute negative dei processi di cambiamento. In ogni caso, una volta che si sia raggiunto un consenso sulla necessità di cambiare qualcosa, sono richieste da parte di ognuno un po’ di fiducia e una disponibilità di massima a mettersi in gioco».

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