
Si parla molto di Julia Ituma, la pallavolista italiana morta a Istanul nella notte dello scorso 13 aprile. Julia aveva 18 anni, era molto più di una promessa del volley. Si è buttata dal piccolo balcone della stanza numero 606 del Volley Hotel di Istambul. Il corpo è stato ritrovato da un inserviente dell’hotel alle 5.30 del mattino dopo. Si è venuti a sapere anche di un filmato delle telecamere interne all’albergo che inquadra Julia mentre vaga per il corridoio in uno stato di agitazione, per oltre un’ora, tra le 22:30 e le 23:50.
I giornali e tutti gli organi di informazione, e i lettori con loro, si affannano a trovare le ragioni del “gesto estremo” della giovane pallavolista. Non si riesce neppure, al momento attuale, a individuare i destinatari dei molti messaggi che la ragazza ha inviato prima di buttarsi dal balcone. E così ci ritroviamo con l’assurdo abituale di fronte a eventi come questo.
Le indagini potrebbero fare luce. Ma la luce potrebbe illuminare le ombre
Qui l’assurdo è ancora più estremo, se così si può dire, perché Julia aveva 18 anni, era un’atleta molto promettente… A noi che leggiamo sembra la ragazza che aveva molti motivi per vivere e nessun motivo per morire. E invece si è buttata giù.
Magari le indagini riusciranno a fare un po’ di luce. Ma, in questi casi, anche la luce serve poco. Le eventuali ragioni potrebbero perfino rendere più drammatica la morte e la luce sui motivi potrebbe far aumentare lo scandalo inspiegabile del buio che ha inghiottito Julia.
E allora ci assalgono tanti interrogativi e ci vengono in mente svariate considerazioni. Inutili per la ragazza. Utili, forse, per noi. Una tra le tante nasce proprio dal mistero che circonda questo dramma.
Si insiste tanto oggi, fino alla stanchezza e fino alla retorica, sul carattere inviolabile del mondo personale di ciascuno. Si aggiunge che siamo liberi, totalmente liberi. E nessuno osa contestare quelle affermazioni. Solo che una libertà che piomba sul mondo vastissimo di grandi solitudini, rende le solitudini pericolosamente drammatiche. La libertà stessa può diventare angosciante. Posso fare quello che voglio, ma non so cosa fare. E, allora, che me ne faccio della mia libertà?
A un certo punto la privacy diventa semplicemente solitudine. E la solitudine genera mostri
Se si vuol riassumere tutto con una sola battuta, si potrebbe dire che spesso la privacy – quale magica suggestione porta con sé questa parola! – a un certo punto, per certe persone, diventa semplicemente solitudine. E la solitudine genera mostri. La vera risposta a questa deriva non sta tanto nell’enfatizzare la libertà e la solitudine, ma le relazioni. Di queste manchiamo, siamo poveri non di libertà ma di legami e di relazioni. E solo queste danno corpo alla libertà e le impediscono di girare a vuoto.
Se qualcuna di queste relazioni buone fosse corsa in aiuto a Julia, questa non si sarebbe buttata da quel balcone, di quella stanza, di quell’hotel, nella maledetta notte del 13 aprile.