È un giorno bellissimo, pieno di sole, nonostante le temperature basse. Sono venuto a Spello a pregare sulla tomba di un credente che molto mi ha aiutato nella mia ricerca spirituale. Una pietra grigia lievemente inclinata sul prato verde indica la tomba di fratel Carlo Carretto nel punto più alto del cimitero. Accanto un ulivo frondoso mosso dal vento, e silenzio, tanto silenzio. Nudità assoluta, secondo la regola dei Piccoli Fratelli di Gesù, dettata dal fondatore Charles De Foucauld.
Non lontano, il chiostro di san Girolamo dove centinaia di giovani per parecchie estati, negli appassionati e turbolenti anni settanta e ottanta, si radunavano per celebrare insieme l’Eucarestia domenicale. Il resto della settimana, tra silenzio e preghiera, erano dispersi nelle molte case di campagna sul monte Subasio che Carretto aveva reso accoglienti e trasformati in eremitaggi. Giovani che avevano trovato un cristiano, appassionato di Dio e dell’uomo, capace di ascoltarli, di prendere sul serio le loro domande.
Un credente che veniva da lontano. Per età e storia. Piemontese, nato ad Alessandria nel 1910, si trasferisce a Torino, dove, nel 1927, consegue il diploma di maestro elementare e, nel 1932, la laurea in Filosofia e Pedagogia. Entra nell’Azione cattolica e, tra il 1937 e il 1940, è presidente provinciale della Giac, il ramo giovanile dell’associazione.
A Torino Carretto fa un incontro decisivo, quello con Luigi Gedda. Ne rimane talmente affascinato da scrivere: “Stare con lui era per me un paradiso”. Nel 1940 viene nominato direttore didattico e inviato a Bono (Sassari). Entra in rotta di collisione con le locali autorità fasciste ed è costretto a lasciare la Sardegna. Nel 1941 è nominato segretario centrale dei maestri di Ac. Nell’aprile del 1945 è tra i fondatori dell’Associazione dei maestri cattolici. Il 12 ottobre 1946 Pio XII lo nomina presidente nazionale della Giac.
Le elezioni del 18 aprile 1948 vedono Carretto impegnato, con i Comitati Civici, a sostegno della Democrazia cristiana. Il 12 settembre di quell’anno, per l’ottantesimo anniversario della fondazione della Giac, Carretto riuniva in piazza San Pietro oltre 300.000 “baschi verdi” – era il distintivo della loro associazione – quale segno forte della presenza cristiana nella società.
Ma qualcosa stava cambiando. I vertici ecclesiastici e associativi volevano sempre più fare dell’Azione Cattolica la rete di supporto, anche elettorale, della Democrazia cristiana. Benché Giuseppe Lazzati e i dossettiani raccomandassero la distinzione tra l’azione cattolica e quella politica prevalse l’orientamento di Gedda. Tanto che la posizione di Carretto e del suo gruppo andò divaricandosi sempre più da quella di Gedda e, nelle pagine dei loro giornali, invitavano gli iscritti a una scelta più religiosa: basata su un’idea di Chiesa che rilanciasse il primato della fede evangelica sul cattolicesimo di facciata.
Il 1952 è l’anno dell’elezioni amministrative di Roma e del pasticcio, nato dalla volontà di Gedda e di alcuni vescovi, di sostenere una lista civica comprendente anche forze di destra. L’”operazione Sturzo”, cosi venne chiamata questa scelta ambigua che alla fine non ebbe successo, portò alle dimissioni di Carlo Carretto. Due anni di silenzio e di viaggi fino all’incontro, decisivo, con un libretto scritto da un prete francese, Renè Voillaume che raccoglieva le intuizioni di un altro francese morto quasi quarant’anni prima nel deserto algerino e che pareva fosse stato dimenticato da Dio e dagli uomini.
Non era cosi: Charles de Foucauld – cosi si chiamava il francese ucciso il 1 dicembre 1916 – era la parabola del chicco di seme che porta frutto quando muore. Dalla sua storia sono germogliate donne e uomini che, sulle strade del mondo, hanno “gridato il Vangelo con la vita”. Carlo Carretto è uno di questi. “A 44 anni” scriverà più tardi “avvenne la chiamata più seria della mia vita: la chiamata alla vita contemplativa. Essa si determinò nel più profondo della fede, là dove il buio è assoluto e le forze umane non aiutano più. Questa volta dovevo dire sì senza nulla capire: “Lascia tutto, e vieni con me nel deserto. Non voglio più la tua azione, voglio la tua preghiera, il tuo amore””.
Parte da Marsiglia per raggiungere la fraternità di El-Abiodh, un altopiano al limite del deserto sahariano, nell’ovest dell’Algeria, dove lo attende padre Voillaume con una quarantina di novizi. Il giorno di Natale riceve l’abito bianco, simbolo dell’inizio del noviziato, e intraprende una vita fatta di lavoro, umiltà, preghiera e graduale distacco dalle cose del mondo.
Nelle sue lettere scrive: “Ero finito, incapace a trovare acqua, sperduto in un mondo destinato alla consumazione spirituale. Venendo qui mi sono ripreso. E in questi momenti, in cui tocchiamo con mano l’irruenza e la realtà primaverile della Grazia, anche i rami stecchiti rinverdiscono. Strano l’effetto che fa entrare in una cappella ad adorare dopo cinque ore di faticaccia nei campi o nel forno. I salmi ti vengono alle labbra con la dolcezza del miele. Tu senti cos’è la giornata terrena, la tenda, la marcia verso la Patria”. Lui che sognava di “riconquistare l’Italia e il mondo, la classe operaia, a Dio”, attanagliato pochi anni prima dalla sindrome di onnipotenza che gli faceva credere di avere sulle spalle il destino della Chiesa italiana, sperimenta, nel silenzio del deserto, un’inedita e profonda libertà.
Una libertà nuova, ampia, autentica, gioiosa. L’aver scoperto che ero nulla, che non ero responsabile di nessuno, che non ero uomo importante, mi diede la gioia del ragazzino in vacanza. Venne la notte e non dormii. Mi allontanai dalla grotta e camminai sotto le stelle in pieno deserto. «Dio mio, ti amo; Dio mio, ti amo», gridavo verso il cielo nello straordinario silenzio. Stanco di camminare, mi stesi su una duna di sabbia e immersi gli occhi nella volta stellata. Come mi erano care quelle stelle; e come il deserto me le aveva avvicinate! A forza di passare le notti all’addiaccio, ero stato spinto a saperne il nome, poi a studiarle, a conoscerle ad una ad una. Ora ne distinguevo il colore, la grandezza, la posizione, la bellezza. Sapevo orientarmi su di esse al primo colpo d’occhio; e dalla loro posizione deducevo l’ora senza bisogno di orologio.
Nel Sahara Carretto scopre la debolezza evangelica della povertà e della croce. È la scelta della “piccolezza” di Betlemme.
Quando Dio volle agire nella redenzione cercò la piccolezza. Salvò il mondo non con la sua forza ma con la sua debolezza. E l’Eucaristia non è il sunto di tutto questo metodo? Farsi nulla, essere nulla. Qui siamo all’anima proprio del mistero cristiano. Al centro del vero problema. Questa volta s’impara la lezione, sono finalmente a posto. Non mi lamenterò più. Divento un banchiere della povertà, un magnate della debolezza, un nababbo della miseria. Insomma, divento ricco della vera ricchezza: la povertà».
Capisce che la solo nella radicalità del Vangelo, vissuto nella logica del nascondimento di Nazareth, è possibile vivere la piena comunione con tutti gli uomini. Senza affanni identitari o desideri di cittadelle cristiane perdute per sempre. La parola chiave per i Piccoli Fratelli è “contemplazione sulle strade del mondo”: una contemplazione attiva e nella povertà.
Nel 1963 inizia a scrivere Lettere dal deserto, un piccolo libro che segnerà una generazione di cristiani in cui narra la sua esperienza di rinascita in una fede essenziale e rinnovata. Un caso editoriale: mezzo milione di copie vendute, più di trenta edizioni, tradotto in greco, swahili, indonesiano, portoghese, francese, tedesco, cinese, polacco, spagnolo e inglese. Di ritorno dall’Africa, riesce ad incontrare papa Giovanni XXIII che gli chiede a bruciapelo: “Dimmi, prima di andare laggiù in Africa, ci avevi pensato? Era stata una cosa premeditata?”. E Carlo: “No. Dio mi ha chiamato di sorpresa e in pochi giorni decisi l’accettazione di ciò che credevo la sua volontà partendo per l’Africa”. Il Papa allora con un sorriso disse: “Capita sovente così. Si va a finire là ove non si era mai pensato… anche a me è capitata la stessa cosa… non ci avevo mai pensato”.
Carlo ora è pronto a raccogliere la sfida di Voillaume: dar vita ad una fraternità in Italia. Innamorato di Francesco d’Assisi, si mette alla ricerca di “un conventino francescano”. Lo trova in quel di Spello, appena fuori le mura, vicino al cimitero del paese, non lontano da Assisi. Da lì prende posizione sui grandi temi della vita civile e politica del nostro Paese con la consapevolezza del pluralismo culturale ed etico del mondo contemporaneo.
E’ nota la lettera che scrisse a La Stampa in vista del referendum sull’abrogazione del divorzio, nel 1974:
E’ in gioco l’unità indissolubile del matrimonio o il rispetto per chi non ha la fede? Io in coscienza non ho dubbi in proposito. Nessuno di noi cristiani può mettere in dubbio le parole stesse di Gesù: “Non divida l’uomo ciò che Dio ha unito”, ma queste parole non possono essere usate con una legge civile verso coloro che non credono alla risurrezione di Cristo e che appartengono ad una società laica.
Scrive libri che parlano alla testa e al cuore di cristiani usciti dal Concilio, presi dalla voglia di non perdere l’anima dentro la passione per le cose del mondo, accoglie le persone che, in un passa parola continuo, raccontano di un luogo dove tutti sono accolti, senza distinzione.
Ed è proprio a Spello, nella fraternità di san Girolamo, che Carlo Carretto si spegne il 4 ottobre 1988, giorno di san Francesco. Poco prima, da un letto dell’ospedale, detta un testo che è il suo testamento spirituale: “Quanto sei contestabile, Chiesa, eppure quanto ti amo”. Sintesi di una vita. Parole che hanno il profumo delle pietre antiche calpestate dai santi della storia della Chiesa:
Quanto mi hai fatto soffrire eppure quanto a te devo!… Mi hai dato tanti scandali, eppure mi hai fatto capire la santità! Nulla ho visto nel mondo di più oscurantista, più compromesso, più falso e nulla ho toccato di più puro, di più generoso, di più bello! Quante volte ho avuto la voglia di sbatterti in faccia la porta della mia anima e quante volte ho pregato di poter morire tra le tue braccia sicure….
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Rocchetti