
Siamo sicuri che difesa sia equivalente a riarmo? Certo: quella della von der Leyden è vero e proprio riarmo su cui la Germania investe 500 miliardi. Ma il riarmo non è l’unica difesa; e non è quella tipica della storia dell’Europa che ripudia la guerra non solo per via di principi costituzionali, ma anche ormai per via di sentire culturale e antropologico: chi è disposto oggi in Europa a fare la guerra in prima, e non per interposta, persona? E ciò non avviene solo in qualche spirito imbelle pacifista che non vuole il martirio: abbiamo già visto che tanti accaniti bellicisti occidentali vogliono armarsi sì, ma… far partire gli altri.
Ma è anche per una più matura consapevolezza che considera la guerra una disumanità vana, che non risolve nulla. La difesa dell’Europa come entità voluta dai fondatori dopo la guerra, primariamente puntava sulla creazione di scambi tra popoli mediante conoscenza e cultura e commercio, con quante più aree politiche possibili (il poliedro di papa Francesco). Si è pensato, insomma, prima di tutto ad una difesa fatta di convivenza operosa, di ragione e di cultura. Mentre la difesa alla von der Leyden punta sulla deterrenza, questa punta sull’amicizia dei popoli. È questa che, sgretolando dall’interno una mentalità bellicista, ha fatto cadere i blocchi contrapposti.
Non è stata la deterrenza. Far leva sulla deterrenza mi pare come la minaccia di aumento delle pene per frenare i reati. Cosa mai successa!
Una difesa basata sulla deterrenza in armi, cioè la difesa alla von der Leyden, è quindi inefficace ed è anche impossibile.
Perché ci vogliono decenni prima che l’Europa (l’Europa dai mille Stati nazionali? E chi in Europa?) raggiunga una competitività bellica in grado di deterrere Paesi che quella competitività hanno raggiunto, e gradualmente, in tempi in cui la deterrenza si poteva ancora tenere sotto controllo. Ora deterrenza vorrebbe dire saltare i gradini e andare subito ad una deterrenza, che se vuol essere tale, deve essere annientatrice totale.
Perché tutti evidenziano la difficoltà, anche tecnica, al limite della impossibilità, di coordinare le difese di un’Europa così politicamente divisa e squilibrata: e questo inficia in radice la capacità di deterrenza.
Perché solo un pazzo oggi potrebbe voler conquistare con la forza il mondo col rischio di restare nel deserto o di perire con il mondo; ma proprio perché sarebbe un pazzo, non si lascerebbe comunque deterrere da nessuna arma avversa.
Una piccola deterrenza, l’unica ora possibile in Europa, produrrebbe solo esibizioni di forza di Stati particolari che ostacolerebbe decisioni comunitarie invise a qualche piccolo detentore di deterrenza minore, favorendo un’ulteriore escalation di disaccordo europeo. O ci sentiamo tanto sicuri se si armano atomicamente Germania e Polonia e Ungheria (tanto per dire…)? Meglio allora inserirsi casomai in un sistema difensivo già esistente e aduso alla responsabilità del rischio globale, per aprirlo sempre più al rapporto, rendendolo sempre più culturale e sempre meno dipendente dalle armi; una Nato che diventi sempre più ONU; un’Europa sempre più multilaterale e sempre meno Europa vassalla.
Se non c’è una fraternità umana creata dal dialogo, la deterrenza bloccherà la guerra solo fino a quando una potenza non crederà di essere tanto superiore da poter infischiarsene. E quando crederà di sopravanzare l’altro, è sarà tentata di sfruttare il vantaggio, e comunque di non essere tenuta ad una solidarietà comune.
Dire che la difesa per riarmo spreca le risorse che potrebbero essere impiegate a servizio dell’umanità non è poi argomento facilmente liquidabile come demagogico. Lo spreco di risorse a vantaggio della forza cambia le priorità dei bisogni umani; discrimina gli esseri umani tra di loro sulla base di quanto possono non di quanto hanno bisogno; li rende più sospettosi e conflittuali; crea uno spirito di rivalsa e fomenta la ricerca di un benessere per via di prepotenza.
Solidarizziamo perciò con chi non vuole il riarmo o, almeno, un riarmo lasciato ai singoli Stati. Un po’ solidarizziamo con la Schlein, e la compiangiamo perché sempre più ci convinciamo che si è sobbarcata ad una mission impossible. Ora la si accusa di non aver saputo gestire la spaccatura dentro il PD. Ma se Tertulliano diceva: Quid ergo Athenis et Hierosolymis?, “Che c’è di comune tra Atene e Gerusalemme”, noi potremmo dire: “Che c’è in comune tra un Gori e un Tarquinio?”, entrambi nelle file del PD. Ma noi diamo ad Ellly Schlein un riconoscimento proprio perché non ha cercato unanimismi al ribasso, ed è riuscita almeno a fare emergere una spaccatura su un problema fondamentale di etica politica dentro il PD. Che ci si divida su cose serie, alfine! E se ne renda ragione. O sarebbe forse stato meno scandaloso se un partito fosse stato compatto, votando per il sì? L’unità di un partito non vale forse meno di una convinzione etica profonda e delle sorti del mondo?
Mi meraviglio infine che in casa nostra si taccia il dovuto riferimento al magistero di papa Francesco, che non perde occasione di sostenere che la corsa all’armamento è causa non effetto delle guerre. Lo si pubblica a latere senza confrontarlo con la corsa alla difesa armata. Come se fosse compatibile o altra cosa. Ma forse che il Papa parla d’altro? O non tratta forse del “caso serio”? Sembra che noi vogliamo liquidare il suo pensiero perché a noi compete una mediazione politica che un Papa, e malato, non può permettersi (“Lui deve dire così”). Vogliamo almeno prenderlo in seria considerazione nei suoi risvolti storici, come sempre noi siamo stati abituati a fare? E cercare di capirne il senso? Ma ricordiamo che sul punto delle armi i Papi di questi due ultimi secoli, pur così teologicamente e culturalmente e antropologicamente diversi, l’hanno pensata allo stesso modo. Vorrà dire qualcosa; o no?