E’ ricordato come il più grave attacco terroristico di tutti i tempi a una scuola. Un evento cruciale nel passaggio della Russia di Vladimir Putin a un regime autocratico, rafforzando i poteri centrali di Mosca, utilizzando spregiudicatamente la disinformazione, dimostrando totale indifferenza per il sacrificio di vite umane e rompendo con l’Occidente. Sono passati vent’anni dalla strage di Beslan (1-3 settembre 2004), un dramma che per tre giorni attanagliò l’attenzione mondiale: la crisi che, con il senno di poi, ha segnato una svolta nella storia russa contemporanea.
In quei giorni mi capitò di incontrare Maurice Bellet, uno dei più geniali pensatori cristiani degli ultimi decenni. Autore di splendidi libretti pubblicati da Servitium (Il corpo alla prova, La via, L’amore lacerato, La quarta ipotesi. Sul futuro del cristianesimo) e di un libro uscito postumo dopo la sua morte, avvenuta nel 2018, edito in Italia da Queriniana (Il Messia crocifisso. Scandalo e follia; pagine 178, euro 18,00), Bellet, sacerdote, filosofo e psicanalista, ha sempre cercato di penetrare nelle vicende umane portando alla luce la verità elementare, e per questo liberante, delle nostre attese, delle nostre speranze, delle nostre fatiche e dei nostri dolori.
Questo è il nostro dialogo, avvenuto il giorno dopo l’orrore di Beslan, in Ossezia.
“Quello che è successo è terribile”, mi dice. “Terribile. La mia generazione ha vissuto la devastazione della Seconda guerra mondiale. E’ stato per l’Europa un punto zero, ma ha imparato solo chi ha voluto imparare. E da allora la violenza continua a riproporsi. A volte è più vicina a noi. Ma il Vangelo è l’impossibilità a disperarsi. E’ questo. Dobbiamo sviluppare una speranza senza illusioni.”
C’è qualcosa di indistruttibile che attraversa l’umanità. È nostro dovere cercarlo sempre. Credo che la convivenza umana sia possibile se viene restaurata la consapevolezza dei bisogni fondamentali dell’uomo. La ricerca, ogni ricerca, compresa quella scientifica e tecnologica, viene riorientata al soddisfacimento di quello che è essenziale per l’uomo e non per il mercato.
La Chiesa è prima di tutto il luogo della comunione. Io vedo la grande Eglise come l’anti-setta, il luogo della fede intera. Perché la Chiesa su cose secondarie, e a volte anche importanti, pare rimanere sulla difensiva, ma sull’essenziale ha l’istinto giusto, ha grandi tradizioni che possono essere usate dall’uomo di oggi: Francesco, Ignazio di Loyola, Teresa di Lisieux sono coloro che nella loro epoca hanno contribuito, ciascuno a proprio modo, a un nuovo inizio. La Chiesa non può ridurre la durezza scoscesa del Vangelo e non può escludere nessuno. Forse è il momento di accettare una fede critica. La critica non è per forza “collaborazionismo con il nemico”, nella sua forma migliore è un lavoro di verità”.
Prima di parlare del futuro, mi sembra ragionevole partire dal presente. E sulla situazione esistente si possono dire cose contrastanti e anche molto contraddittorie. C’e chi è ottimista e, nonostante le difficoltà, riscontra una bella vitalità della Chiesa. Le Giornate mondiali della gioventù hanno fatto impallidire di gelosia i dirigenti del partito comunista francese. Non solo: c’è vitalità nei movimenti spirituali e anche un interesse nuovo per il cristianesimo, al margine della Chiesa, se non addirittura al di fuori di essa. Ma c’è, anche l’altra faccia, molto meno allegra: la debolezza, addirittura il crollo di tutta una religione che è stata quella della mia fanciullezza e della mia gioventù, come se quel vasto edificio conosciuto si disfacesse. Uno dei segnali è il crollo del numero di sacerdoti. Può essere valutato in modo differente ma che è chiaramente indicativo rispetto a un’epoca in cui il clero costituiva la formidabile armatura del sistema ecclesiale.
Credo bisogna evitare la tentazione di domandarsi qual è la richiesta della gente. E’ vero: oggi c’è molta domanda spirituale. Perfino al supermercato possiamo trovare un reparto di spiritualità, in verità più esoterico che cristiano. Se ci si ferma a questo, si è nello spirito del marketing. La simonia è ovviamente – e per fortuna – proibita: la Chiesa non può vendere ciò che ha di più prezioso, ma si può vendere un po’ di contorno… e comunque lo spirito del marketing consiste nel saper vendersi, magari gratuitamente! Ritengo però che ciò significhi impigliarsi in un’illusione, quella di un mondo che sembra più o meno disposto al religioso, in ogni caso tollerante.
Si potrebbe pensare che imbarcandosi su questa religiosità diffusa, magari “surfandoci” sopra, si possa trovare l’uscita buona. Credo che sia un’illusione, per due principali ragioni almeno. La prima, è che questo mondo – che sembra tollerante – lo è a condizione che non gli facciamo del male, soprattutto in quello che costituisce il suo credo che è il denaro. E se il mondo non ci fa problema, forse è perché noi non facciamo problema per il mondo. Non era il caso di Gesù Cristo. Ogni volta che i cristiani fanno meglio di Gesù Cristo, io sono perplesso. L’altro aspetto è che questo movimento potrebbe essere molto instabile, sfociare un giorno in deflagrazioni o in ritorni imprevisti, e lasciare coloro che si sono troppo fidati di esso sulla sabbia. La cosa è già successa per altre correnti. Ricordo quando, ad esempio, i cappellani degli studenti mi dicevano che domani il vangelo sarebbe stato politico, sottinteso marxista, o non sarebbero stato. Dove sono finiti?
Il problema è una questione di verità. La Chiesa sta nel rapporto del vangelo con il mondo. Il suo principio è il vangelo, e tale principio non è del mondo. Ma la sua realtà è di fatto nel mondo. L’ha detto Gesù: non del mondo, ma nel mondo. E occorre che questo rapporto sia giusto. Ma tale rapporto non è stabilito in anticipo. Non basta far affidamento sulla verità testimoniata dalla Chiesa e dal vangelo per credere che la cosa dispensi dal fare la verità di questa Verità che, invece, è sempre da scoprire.
Il nostro problema è: «Come, in questo mondo che è nostro, possiamo far accadere l’inaudito di Gesù Cristo?». Sta nella natura del vangelo essere vangelo, cioè cosa che si annuncia, che non è ancora udita. Il guaio è che molti credono che si tratti del già udito, già venuto e anche ripartito. Sotto molti aspetti, il nostro mondo è un mondo che si percepisce post-cristiano nel quale la Chiesa ha perso l’iniziativa. La Chiesa del medioevo era ricca di pensiero: san Tommaso d’Aquino e i suoi compagni. I grandi nomi della nostra cultura moderna sono invece: Marx, Freud, Nietzsche…
Sì, ma questa fede cristiana e questa Chiesa d’occidente hanno avuto uno strano privilegio. I tempi moderni si sono, in qualche modo, generati in essa. Nel corso degli ultimi secoli in Europa, all’interno di un mondo ritenuto cristiano, è avvenuto il formidabile sviluppo della scienza, delle nuove tecniche, della democrazia. Ed è avvenuto da parte di persone cresciute nel cristianesimo: Voltaire diventò grande tra i gesuiti, Diderot era dottore in teologia, Kant e Hegel erano cristiani. Che cosa ci è accaduto? Quella che è stata la più grande minaccia per la Chiesa – la cultura critica – è uscita dal seno della Chiesa. Una cultura e una critica creativa che non hanno risparmiato nulla: filosofia, esegesi, storia, cosmologia, sociologia, psicanalisi, democrazia…, altrettante ondate che sono andate all’assalto del vecchio edificio cattolico…
Molti cristiani si sono irrigiditi sulle posizioni acquisite in una logica prettamente difensiva. Altri cristiani si sono adattati, subendo una vera e propria sottomissione allo spirito del tempo. Ancora oggi corriamo questi due rischi: in entrambi i casi, il risultato è che la Chiesa gradualmente appare nella cultura umana come la rimanenza di un mondo che si disfa, e sul lungo tempo la cosa può sembrare inesorabile. Sono convinto invece che se rimane qualcosa del vangelo, sarà fuori di essa, in un’etica o in una filosofia che prenderanno ispirazione da essa sempre più da lontano. Il sistema religioso che abbiamo ereditato, che io ho ereditato, è stato preso a questa trappola. E penso che sarebbe interessante liberarsene!
Senza negare gli indubbi vantaggi, sarebbe da stolti non cogliere la minaccia del nostro tempo. Molti pensatori la intuiscono, e non soltanto gli apologeti cristiani. E’ come se questa modernità trionfante sperimentasse al suo interno un inaridimento dell’essenziale. L’uomo di oggi è il prodotto di una cultura dominata da ciò che viene chiamato l’economia mondializzata. Il dovere dell’essere umano pare consistere nel consumare e nel soddisfare i suoi bisogni e i suoi desideri. Ci riuscirà, perché ormai, con la tecnica, tutto è possibile. Quest’uomo è senza spessore, senza durata, senza relazione. Si sta compiendo per l’ecologia umana quello che già si è fatto più o meno per l’ecologia naturale. Si rischia di costruire dei mostri. Da qui l’urgenza di una rifondazione dell’umanità. In certo modo è la fine di questa modernità, sicura di sè stessa, sicura com’era di sostituire molto meglio i miti, le tradizioni, le religioni. C’è quella tremenda espressione di Georges Steiner a proposito di ciò che è successo nella Germania nazista: «La cultura stessa non protegge dalla barbarie».
Sì, se la Chiesa ritrova la potenza critica del vangelo. La crisi della modernità per la Chiesa indica un’urgenza, ma anche una chance tale che Paolo VI dichiarava, al termine del Concilio Vaticano II, al card. Bea che lo ha riferito a padre Congar: «Bisogna ripensare tutto». Non sono sicuro che il programma sia stato pienamente compiuto. Ma se questo avvenisse potrebbe darsi una prodigiosa possibilità.
E’ vero: alcuni ne hanno accentuato le ambiguità, hanno fatto credere che fosse un’iniziazione o una soluzione definitiva. Invece è solo un modo di imparare a prendere seriamente la parola su se stessi. E per quanto riguarda il tempo, tutto ciò che è serio prende tempo. Dobbiamo riscoprire la durata, la durabilité.
Dire qualcosa ai giovani? Ai giovani è meglio parlino i giovani… se proprio devo… auguro loro di avere una parola autentica. E che facciano progetti a lunga gittata, che non si accontentino di becchettare la superficie delle cose.