La Chiesa che c’è e una nuova Chiesa che forse ci sarà

Fedez-don Alberto Ravagnani
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Spunti vari di varia politica
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Visto da Sud – Rubrica a cura di Francesco Cavallini
Nella Chiesa chi deve governare – i vescovi
governano poco.
Intanto si fatica ad immaginare la Chiesa del futuro

Nella mia vita religiosa e di servizio mi confronto continuamente con sacerdoti di vari luoghi d’Italia e a volte emergono considerazioni rispetto alla gestione delle diocesi. In questo breve articolo desidero sottolineare alcuni aspetti problematici, tralasciando i tanti esempi positivi. Vorrei contribuire, nel mio piccolo, a far nascere coscienze critiche e riflessioni che possano dare vita a ulteriori proposte.

Vescovi che non decidono

Riconosco l’importanza del ruolo del Vescovo, quale figura che può traghettare il vecchio modo di concepire la chiesa con il nuovo che man mano si rivela, alla luce dell’umanità di oggi, della diminuzione di vocazioni religiose e della “fame e sete di Dio” presente in ogni uomo e donna.

Mi soffermo su alcuni nodi, che considero problematici e che riporto in ordine sparso.

Innanzitutto desidero porre l’attenzione verso quei vescovi che approssimandosi all’età della pensione abdicano nel prendere decisioni significative per la Diocesi (atteggiamento che a volte avviene anche 4/5 anni prima che si lasci l’incarico…un’enormità di tempo tenuto conto i cambiamenti). Alla base sta un malinteso (e funesto negli esiti) rispetto per le decisioni che prenderà il successore. O peggio per non complicarsi troppo la vita sul finire del proprio mandato.

Vi sono poi Vescovi che, seppur delle valide persone spirituali, non hanno la capacità di governance (che non è dono dato dall’ordinazione). Questo crea non pochi problemi, data la complessità intrinseca della guida di una Diocesi.

Un’altra fattispecie è quella di  Vescovi che per non rimettere in discussione i propri schemi mentali circa l’organizzazione di una Diocesi e le proprie convinzioni ecclesiali-teologiche-pastorali continuano secondo schemi vecchi e inefficaci. E questo malgrado le trasformazioni epocali degli ultimi decenni.

Un esempio su tutti: man mano che un parroco viene meno (morte, malattia, esaurimento, abbandono). La soluzione è nominare parroco un altro che è già parroco in una o due o tre parrocchie…e così via… Così che lo schema mentale che ogni parrocchia abbia un parroco è confermato. La realtà, invece, è che ciò causa un impoverimento dell’azione stessa e la qualità del servizio che si offre.

La fatica di assumersi responsabilità

In generale mi sembra di cogliere una mancanza di coraggio ad assumersi delle responsabilità nel pensare e mettere in pratica organizzazioni ecclesiali nuove e prassi nuove. Il mandato principale del Vescovo consiste nel “trasmettere l’annuncio dell’unico Vangelo e dell’unica fede, nell’integra fedeltà all’insegnamento degli Apostoli” (cfr. Introduzione del Direttorio per il ministero pastorale dei Vescovi “Apostolorum Successores”). Ma, senza una coraggiosa assunzione di responsabilità, questa trasmissione dell’annuncio non funziona molto!

Si abdica anche alla responsabilità di elaborare una teologia a partire da una lettura sapienziale e illuminata dallo Spirito del territorio e dei tempi esercitando quella “autonomia dottrinale” a servizio della riflessione della Chiesa universale a cui Papa Francesco continuamente sollecita (cfr. Evangelii gaudium 32) in continuità con il Concilio Vaticano II.

Alcune ipotesi per un nuovo Natale della Chiesa

Mi chiedo perché non osare nel fare qualcosa “ad experimentum”?  Cioè dedicarsi, per alcuni anni, a mettere in opera iniziative nuove, per verificarle nel tempo. Di seguito propongo alcune proposte:

  • Parrocchie in cui tutti i beni siano dati in gestione ad una associazione, costituita dai parrocchiani, senza diritto di firma del Parroco, affinché questi sia alleggerito dalle impellenze amministrativo-gestionali, e perché la Comunità (la vera titolare dei beni) sia responsabilizzata. Il Parroco rinuncerebbe così a una fetta di potere che non gli compete.
  • Un percorso di iniziazione cristiana alla luce delle recenti riflessioni teologiche-liturgiche nonché sociologiche e antropologiche (sulla scia dell’articolo di don Armando Matteo, “Riportare i giovani a messa, la trasmissione della fede in una società senza adulti”). Per tentare tempi, orari, giorni e luoghi che tengano conto della vita frammentata delle famiglie e quindi dei ragazzi che intraprendano il cammino d’iniziazione e della loro struttura antropologica per offrire un’adeguata pedagogia.
  • Comunità parrocchiali affidate alla cura di una famiglia “consacrata diacona” (marito e moglie insieme) o a una comunità di suore (con funzioni diaconali) che possano celebrare i sacramenti (senza la consacrazione sacerdotale, che sarebbe cosa buona e giusta ma forse troppo ardita per la chiesa di oggi).
  • Altro tema audace, affidare la parrocchia ad un sacerdote sposato che possa essere riabilitato nelle sue funzioni con una speciale dispensa (come i nostri fratelli greco-cattolici che si sposano).
  • Promuovere la nascita di varie piccole comunità (per omogeneità di territorio? Di età? Di orari di vita?, ecc.) in cui vivere la meditazione della Parola, la condivisione, l’accoglienza, la carità così che la Parrocchia sia una Comunità plurale formata da varie comunità vive.
  • Ripensare radicalmente la formazione dei futuri sacerdoti e religiosi (modalità, contenuti, fini) e la selezione.  Ad esempio formare ad essere moderatori e animatori di equipe piuttosto che leader autoreferenziali. Formare all’inculturazione, all’ascolto e all’annuncio del Vangelo tenuto conto delle categorie del post-moderno. Affrontare in modo più profondo le problematiche affettivo-psicologiche. Con scelte coraggiose e concrete!

Per concludere, mi rendo conto che quanto esposto possa apparire ardito, spero solo che sia di stimolo ad ulteriori riflessioni e a dar voce ad altre iniziative gestionali-organizzative e pastorali che lo Spirito suggerirà a quei Vescovi che proveranno ad essere un po’ più coraggiosi, alla luce della loro vita di meditazione della Parola, di ascolto del Signore e dell’umano insito nel proprio territorio

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Cavallini

1 Comment

  1. Daniela Giovannini ha detto:

    In merito all’articolo di Cavallini che parla tra le altre cose della formazione dei sacerdoti:a Bologna da anni esiste il gruppo Timoteo 2.0 condotto da una psicologa, dott. Ssa Ricci e un sacerdote, don Maurizio Mattarelli, che hanno seguito un gruppo di sacerdoti fin da quando erano seminaristi, in una nuova modalità di formazione che ne favorisse l’autenticita nelle relazioni a partire da sé stessi. Credo sia un’esperienza da conoscere, perché la trovo molto innovativa e utile

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