Lo Spirito è presente fin dall’inizio nella Parola, che “crea”, che “fa”, “dà forma”, “produce novità”, che prende casa ed è shekinà in mezzo agli uomini, che rigenera, trasfigura, si effonde.
Poi ruach, pneuma, soffio, respiro, il respiro di Dio, qualcosa di imprevedibile e misterioso, mobile e inafferrabile, potente e umile insieme, fuoco e terremoto, “vento impetuoso”, ma anche “voce del silenzio sottile”.
Il termine raggiunge il suo senso più pieno e connòta l’agire di Dio sia a livello cosmico, la fonte della vita, sia storico, come forza vitale, che penetra nelle vicende umane, facendo “nuove tutte le cose”.
E nel Nuovo Testamento è il paraclito, il difensore, lo “spirito di verità”, il consolatore, il maestro interiore che rende presente il Risorto e ci raggiunge nella forma dell’amore, della pietà, della bellezza, che ci scuote dall’indifferenza, e ci provoca alla conversione e al cambiamento.
È Colui che “viene in aiuto alla nostra debolezza” (Rom 8,26) e ci fa invocare Dio col dolce nome di “Abbà Padre” (Rom 8,15).
Non certo una realtà atemporale, vaga, ma concreta, esperienziale.
Questa Realtà divina che agisce “come vuole”, non è destinata a restare nei cuori, ma a dilatarsi. Anzi, direi, quanto più interiorizzata, e noi diventiamo il suo tempio ( I Cor 6,19), tanto più tende a comunicarsi, a espandersi così da superare barriere etniche, politiche, religiose, producendo una molteplicità di carismi dentro un impianto architettonico vario, ricco, sfaccettato che si radica nell’unico Dio di Gesù Cristo.
Così accade nel giorno della Pentecoste con l’irruzione dello Spirito verso la primitiva comunità radunata in preghiera. Una teofania con “rombo come di vento”, e “lingue come di fuoco”, dove un’unica Parola si rifrange moltiplicandosi fino ad essere recepita in altre lingue.
È la fine dell’omologazione di Babele. Là gli uomini avevano tentato di costruire un imperialismo storico-religioso con un’uniformità basata sul controllo. Un’unica lingua sacra.
Ora, invece, nasce una nuova umanità, sotto il segno dello Spirito, una umanità aperta, accogliente, ospitale, diversificata, in cui la Parola si mescola con ogni carne, con la fragilità di ogni esperienza personale.
Tutti capiscono nella propria lingua, con la possibilità di stare dentro la propria cultura, perché, ciò che è fondamentale, non è l’imposizione di un costume o di un modo di pensare, non sono le regole, ma è l’azione dello Spirito che rende presente il Vangelo, la buona notizia di Gesù Cristo.
I modi, i tempi, i luoghi, sono diversi, e quindi devono essere diverse le strutture, le regole l’organizzazione, e anche la teologia che altrimenti rischia di essere infruttuosa.
Ecco, la chiesa apostolica ha saputo mantenere un’unità ecclesiale dentro un’identità complessa.
Certo non è stata una marcia trionfale. C’è la drammatica realtà della resistenza all’interno della chiesa stessa, poi la grande delusione per l’insuccesso presso gli Ebrei e le tensioni fra i cristiani che provenivano dal mondo greco e quelli del mondo giudaico.
Nasce una chiesa dal volto plurale che, pur nelle grandi difficoltà, ha avuto il merito di non essersi divisa. Anzi, cammina “ fino ai confini della terra”, Roma, fedele “all’ascolto della Parola, alla preghiera, allo spezzare del pane, alla fraternità”, senza nessun bagaglio di poteri, se non il “Vangelo, potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede” ( Rom I,16).
Facciamo nostra l’ammonizione di Paolo: “Non spegnete lo Spirito” ( ITes 5,19).
“Senza lo Spirito Santo Dio è lontano, il Cristo resta nel passato, il Vangelo una lettera morta,
la Chiesa una semplice organizzazione, l’autorità un potere, la missione una propaganda,
il culto un arcaismo, l’agire morale un agire da schiavi.Ma nello Spirito, Dio è vicino, il Cristo risorto si fa presente, il Vangelo diventa potenza di vita,
la Chiesa realizza la comunione, l’autorità si trasforma in servizio, la liturgia è memoriale e anticipazione,
l’agire umano viene deificato”Patriarca Atenagora