Maria ed Elisabetta. E il Dio delle donne

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Maria ed Elisabetta. E il Dio delle donne

Spunti per rimuginare la Parola a cura di Omar Valsecchi – Quarta domenica di Avvento

Dal Vangelo secondo Luca
In quei giorni, alzatasi, Maria andò verso la montagna in fretta,
verso una città di Giuda ed entrò nella casa di Zaccaria e salutò Elisabetta.
E avvenne, quando Elisabetta udì il saluto di Maria,
saltò il bimbo nel suo grembo e fu riempita di Spirito Santo Elisabetta,
ed esclamò con voce grande e disse: “Benedetta tu tra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo.
E donde a me questo che venga da me la madre del mio Signore?
Ecco, infatti: quando arrivò la voce del tuo saluto ai miei orecchi,
saltò di esultanza il bimbo nel mio grembo.
E beata colei che ha creduto che ci sarà un compimento alle cose a lei dette da parte del Signore”.

Il “viaggio” dell’angelo e quello di Maria

Riconoscersi abitati, nel corpo, da un annuncio di vita e da una promessa capace di dilatare il futuro (non solo personale ma comunitario) ha come naturale conseguenza il mettersi in cammino. Maria è corpo di donna abitato, visitato e colmato dalla grazia di un incontro che ha impresso nel suo ventre i tratti di un Dio-Parola. E’ un Dio schierato dalla parte dell’umanità piccola, marginale e quotidiana. Ed è nella sua casa di Nazareth che l’angelo la raggiunge.

Il versetto 38 di Luca che precede il nostro brano annota che, dopo aver accolto da parte di Maria il suo ‘Eccomi’, l’Angelo si allontanò da lei. Il viaggio di Gabriele si è compiuto e cede il passo a quello di Maria su questa terra.

Ancor prima del suo mettersi in viaggio, Maria si alza, si eleva, risorge verrebbe da dire. Tant’è che questo suo movimento nel testo greco viene espresso dal medesimo termine che solitamente indica la resurrezione: ‘Anastasa’.

C’è una nuova vita che mette in cammino quella giovane ragazza di Nazareth; un anticipo di resurrezione sussurra già nel calpestio di quei passi ‘verso la montagna’.

Allo stesso modo, la parola accolta si depone in noi come seme di resurrezione, come possibilità per rinascere. Se la partenza di Maria è anticipata da un lampo di resurrezione, ciò che la accompagna è altrettanto curioso: “in fretta” ci suggerisce la traduzione ufficiale. Si potrebbe anche tradurre: “con sollecitudine / cura / entusiasmo”. Non è la frenesia di chi fa le cose sbrigativamente, quanto l’urgenza di una cura, la spinta inarrestabile dell’entusiasmo: dell’avere ‘Dio nel sangue’.

La parola di Dio quando ci raggiunge infonde in noi la sua energia creativa e ci fa uscire dai vicoli ciechi del cervello, ci spinge verso il mondo. Ci libera dal ripiegamento narcisistico su noi stessi e ci conduce verso la terra dell’altro. In Maria la Parola diviene strada, passi, sudore e fatica, attesa di un incontro, ricerca di quel Segno ricevuto…

Infatti, Maria è mossa anzitutto dal desiderio di incontrare quel Segno che l’Angelo le ha indicato al momento dell’Annuncio: “Ed ecco, Elisabetta tua parente nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei”. Maria si mette in cammino alla ricerca della concretezza di quelle parole udite dell’Angelo, ed in questo suo avanzare viene plasmata dalla Parola che la conduce sempre più nella verità di sé.

Due donne, due maternità “impossibili”

Una vita nel grembo è una traccia di futuro, ed è questo che fa Maria: cammina nel domani, sulla terra del domani; sta già calcando le strade del figlio Gesù e quelle di tutti noi. Il suo procedere alimenta il desiderio di condividere la gioia e lo smarrimento che la abitano, in un congiungimento profondo di anime e di corpi ospitati e ospitali.

Ciò a cui assistiamo è, infatti, un incontro tra due donne, due madri: in età avanzata e segnata dalla sterilità, l’una; ed ancora troppo giovane e vergine, l’altra. Due gravidanze, umanamente, impossibili o quantomeno imprevedibili.

Che la comunità dell’evangelista Luca scelga di porre come premessa costitutiva dell’esperienza cristiana (anzi della esistenza stessa di Gesù) un incontro tutto al femminile, la dice lunga sulla carica rivoluzionaria che, dentro quel contesto di rigido stampo patriarcale, l’annuncio evangelico porta con sé.

Credo che, sulla linea di queste due donne, siamo invitati a chiederci: Quanto permettiamo alla Parola di creare in noi, ancora oggi, un modo nuovo, responsabile, libero di vivere? Quanto la Parola ci emancipa rispetto ad un sistema sociale che chiede obbedienza a convenzioni, luoghi comuni, stereotipi? Siamo davvero persone non dipendenti da un sistema; persone capaci di scelte nuove?

Una volta giunta sulla soglia del nuovo incontro, Maria anzitutto saluta Elisabetta. Quel saluto è foriero di un triplice evento: il sussulto di danza del bimbo nel ventre, la pienezza di Spirito Santo e l’esclamazione a gran voce da parte di Elisabetta. Siamo di fronte ad un racconto rivelativo. È Pentecoste in un abbraccio. Maria si è incamminata alla ricerca della verità di un segno ed incontra una donna che le dice chi è lei, cosa le è veramente accaduto: è in quell’incontro che il Segno vibra nella carne, si fa storia.

La parola che crea relazioni

Queste donne riconoscono, l’una nell’altra, l’opera di Dio; la parola è relazione e crea relazioni. A questo anche noi siamo chiamate/i: raccontarci reciprocamente che Dio pianta nel cuore dell’altra/o la sua tenda e grazie alla Sua Parola, seminata in noi, prendiamo coscienza della divina tenerezza custodita nel corpo e nella presenza di ognuna/o.

La prima beatitudine del Vangelo, in Luca, trova qui la sua inattesa formulazione: “Beata colei che ha creduto che ci sarà un compimento alle cose dette dal Signore”; che, forse, è proprio la radice originaria di ogni beatitudine.

Siamo beati, infatti, quando crediamo che quanto Dio ci consegna nella sua Parola non è “solo” parola, ma in quel suo dire, in quella sua promessa risiede già il segno dell’adempimento. Credere alla Parola è intraprendere un cammino che anticipi il suo compiersi e lo manifesti.

E sempre a proposito di quel mettersi in viaggio di Maria, trovo intrigante che il termine ebraico ashrei correntemente tradotto con “beato”, potrebbe esser anche tradotto (su suggerimento di André Chouraqui): “in cammino; in piedi e avanti”; risalendo alla sua radice ashar, ovvero: piede! Chi crede è, dunque, beato nella misura in cui si sente costantemente in cammino; giacché ‘fede’ non è raggiungimento di certezze da difendere ma apertura di vie inedite, di orizzonti da ricercare e vivere insieme.

“Madri sempre incinte di Dio”…

E pensando al dono di queste due donne che ci aprono all’accoglienza della novità di Gesù, desidero dedicare ad ogni donna del mondo le parole di questa preghiera:

Dio delle donne fa rinascere il mondo.
Voi donne siete il futuro del mondo, madri sempre incinte di Dio
con voi tutta la creazione si fa grembo per partorire un mondo nuovo
attraversate senza timore le montagne perché è l’amore che vi porta in alto,
perché è l’amore che vince la paura.
Nessuno più vi ferisca donne, nessuno più vi tolga la voce
perché senza di voi il mondo si spegne, la terra appassisce e muore.
Siano come voi anche le Chiese, incinte di Dio, gravide d’amore, lontane dai palazzi del potere.
Nel vostro incontro si prepara il tempo nuovo,
nel vostro abbraccio si racchiude un nuovo sogno e Dio rinasce dentro il cuore della terra.

(Preghiera della Comunità di San Nicolò all’Arena in Verona)

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