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I due pericoli supremi che ci minacciano: la guerra e il cambiamento climatico.
Il problema del clima è globale, ma la forma globale dominante è quella dei mercati.
Bisognerebbe comincare da casa nostra con uno stile di sobrietà e di fratellanza

Due sono i pericoli supremi che sono già in opera nel nostro tempo: la guerra e il cambiamento climatico. Il primo non è un problema che possiamo definire epocale, ma è di tutti i tempi; e ad esso l’umanità è, per così dire, più adusa. Alcuni di noi ne portano anche perfino qualche ricordo. Il secondo è nuovo; si presenta più lento nei suoi processi distruttivi, non ne conosciamo esattamente né i fattori né gli esiti, e perciò ci pare meno grave; anche se ormai dovremmo cominciare ad intuirne la drammaticità dai disastri ambientali locali che devastano sempre di più anche le nostre contrade. 

La visione fatalista del disastro climatico

La guerra poi ci sembra di più un fatto di perversione umana e quindi legata al controllo della volontà umana, mentre il disastro climatico ci pare frutto di congiunzioni che non dipendono tutte da noi e ad esso perciò ci accostiamo con una dose di fatalismo, che si arrende all’impotenza di fronte alla forze della natura e nutre la speranza che sia un incidente epocale che, come è venuto, possa “passare”, come tanti fenomeni atmosferici infausti.

Oppure ricade sotto il pessimismo che colpisce la politica: l’unica cosa che possiamo fare è difendere i nostri immediati interessi e non possiamo fare nient’altro, e quindi non c’è motivo di preoccuparci del futuro remoto. Secondo la nota battuta di Woody Allen: “Che cosa hanno fatto per noi i posteri perché noi dobbiamo interessarci di loro?” Una subdola perplessità, che spesso giunge al negazionismo che non sa più distinguere nella marea dei messaggi le verità dalle fake news, ci rende più indifesi e meno avvertiti di fronte a quello che può essere invece il problema epocale più serio per la sopravvivenza dell’umanità e del pianeta. 

Il globalismo del problema climatico e quello dei mercati

È un problema quanto altri mai globale, che non può essere affrontato se non con una visione e una determinazione collaborativa internazionale. Di per sé, la nostra epoca, in quanto epoca di globalizzazione, dovrebbe essere la più adatta a riconoscerlo e ad affrontarlo.  Se non fosse che la nostra globalizzazione ha reso globali solo i mercati, ma non le forze spirituali e le istituzioni che dovrebbero governare e i mercati e i comportamenti civili, cioè le istituzioni politiche.

Anzi, l’imperante pensiero neoliberista oggi proclama tranquillamente che i mercati prosperano tanto più quanto meno la politica se ne occupa. Ma i mercati hanno la logica della convenienza economica, non quella della tutela della vita, che danno come presupposto di cui altri si devono occupare, senza pensare che ora essa è drammaticamente dipendente dalla scelta economica.

La globalizzazione selvaggia, di tipo mercantile, ha distrutto sia le particolarità valoriali delle nazioni sia il valore delle istituzioni regolative nazionali sia le stesse istituzioni internazionali. E ha annullato il primato stesso della politica, tanto che sembra che una politica sia uguale all’altra, nel senso che sono tutte impotenti di fronte a forze superiori che lasciano ad esse una catena corta. Ogni giorno assistiamo al penoso dramma dei pronunciamenti politici che non hanno effetto (da quello della diminuzione delle accise a quello, ben più drammatico, dell’invito a deporre le armi), perché la politica è sovrastata da forze ormai più importanti. 

Globalizzazione, politica, democrazia

È certo che non si può tornare al mondo pre-globale precedente. Si deve cercare di fare in modo che la globalizzazione non annulli il primato della politica e la stessa democrazia. Occorre innanzitutto che i politici nazionali prendano atto che i veri, tragici problemi del mondo sono fuori della loro personale portata.

Invece, contro il globalismo mercantile, assistiamo al triste spettacolo dell’avanzata delle forze della destra sovranista, che ormai sono potenti, oltre che in Italia, in Francia, in Germania, in Ungheria, in Olanda ed ora anche in Austria). Esse vogliono sì imporre le volontà particolari delle nazioni di fronte al predominio della globalità, ma la loro natura divisiva e particolaristica non scalfisce il predominio del forte mercato globale, mentre riesce invece ad indebolire o a distruggere le istituzioni generali e internazionali (Europa, ONU) che sole potrebbero resistere alla forza corruttiva ed emarginante del mercato.  

Tutto si tiene, come sostiene il disincantato Cacciari. La guerra, che non può essere eliminata se non da accordi di forze internazionali, determina una crisi internazionale che produce il rafforzamento del sovranismo geloso e autoritario dei Governi di destra e toglie spazio democratico al dibattito parlamentare che la contrasta.

Disastro climatico e interessi dei mercati nazionali

Lo stesso disastro climatico è visto in chiave particolaristica: non con gli occhi aperti al destino del mondo, ma con lo sguardo corto dei mercati nazionali. Sicché si valuta quale delle disposizioni ecologiche servano o danneggino l’economia dei singoli settori produttivi e ogni Stato sceglie quelle che giudica le meno nocive, a breve, per la propria economia, non quelle più utili alla sopravvivenza del nostro mondo. 

E quando, di tanto in tanto, si presenta sulla scena politica qualche movimento provvisto di un pur minimo sguardo utopico, le forze politiche organizzate, invece di assumerne le istanze e dare ad esse sostanza politica, cercano prima di tutto di squalificarlo  come antisistemico (il che sarebbe piuttosto un elogio) e come antidemocratico, perché non rispetta le regole formali di quei partiti, che dal canto loro non hanno né forza utopica ispirativa né forza contrattuale col potere economico né democrazia sostanziale interna. Perché, se i movimenti esibiscono una polpa senza guscio, esposta alle intemperie e avariabile, i partiti detengono – e nemmeno tutti – un guscio formale di democrazia senza polpa da difendere. La scelta che sembrerebbe porsi quindi è quella che C.Crouch così delinea: o carenza di democraticità istituzionale (scelta populistica) o economia globale del tutto priva di democrazia (liberismo autoritario).

Una “salvezza cosmica” partendo da casa nostra

Sarà possibile un’alleanza tra istanze utopiche valoriali e una democrazia decisionale efficace? Sarà possibile che, di fronte allo spettro della catastrofe, le forze e le istituzioni sappiano trovare il colpo d’ala che le sfanghi dalla servitù al mercato e faccia trovare una linea di convergenza che tutte le salvi? Tutta la Città dell’uomo – e in essa la Chiesa che ritiene di custodire i valori fondativi del mondo e dell’umanità – deve farsi carico di questa “salvezza” cosmica. E, possibilmente, mostrarne qualche esempio efficace in casa sua con scelte di sobrietà e di fratellanza universale. Iniziando in proprio un cammino di sobrietà e di pace unilaterale, senza aspettare di ricevere contropartite. Tirando fuori dagli archivi e dalle citazioni la nostra Carta Costituzionale e la “Laudato si’” di papa Francesco, che è una vera e propria enciclica sociale dell’età contemporanea. Smettendola, nei suoi giornali, di attardarsi ancora sulla guerra giusta, ormai non più, se mai, possibile; e a disquisire sul primato tra pace e giustizia, quando non si fronteggiano il “giusto” e l’”iniquo”, ma due parziali iniquità e due parziali giustizie, e quando l’unica vera giustizia ormai per entrambe, e soprattutto per il mondo, è la pace. 

Che se la Città dell’uomo – e in essa la Chiesa –  non trova nulla da opporre, prossimamente la scelta diventerà obbligata: andare a sbattere danzando, come nel “Titanic”. Allora non resterebbe che sperare che, “a causa degli eletti, quei giorni siano abbreviati” (Mt 24,22).

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