La Chiesa fatica a “parlare” ai giovani. E non solo

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La Chiesa fatica a “parlare” ai giovani. E non solo

Daniele Rocchetti ne ha già parlato su questo blog. Ma il tema merita di essere ripreso. Si tratta della disputa intercorsa sulla stampa tra mons. Roberto Repole, Arcivescovo di Torino, e il saggista filosofo Vito Mancuso, che ha chiamato in causa anche altri acuti osservatori. Pensiamo sia utile ripercorrere la discussione perché ci sembra possa servire a chi sta sulla nostra “Barca”. 

Il vescovo di Torino: “La Chiesa può offrire soltanto ciò che vive”

Tutto parte da un’affermazione dell’Arcivescovo che, mosso dalla evidente disaffezione, specie giovanile, per la chiesa, sta convocando, con un certo successo, a Torino gruppi di giovani che affrontano quei cammini di spiritualità che il cristianesimo attuale non offrirebbe più:

Viviamo un cristianesimo che non offre veri cammini di spiritualità. I giovani chiedono proposte alte. Ma, lo ripeto, la Chiesa può offrire soltanto ciò che vive. In definitiva, io credo che molti cristiani non sentano più l’urgenza o la bellezza di annunciare e testimoniare Gesù Cristo agli altri. Credo che in maniera sottile molti cristiani facciano proprio il nichilismo contemporaneo o, se volete, quella forma di nichilismo che è l’assoluto relax, il relativismo. Una cosa vale l’altra. Ma io non sto nella Chiesa e non sono cristiano se una cosa vale l’altra. Io sono cristiano perché credo fermissimamente ciò che dice Pietro nel libro degli Atti [4,12]: che non c’è nessun altro nome in cui c’è salvezza, se non Gesù Cristo. Chiedo perdono, ma per meno di questo io non riuscirei a essere cristiano. 

Vito Mancuso insorge

Vito Mancuso, filosofo che va per la maggiore nei mezzi di comunicazione, è insorto. Secondo lui, l’Arcivescovo sarebbe fermo ancora ad una posizione tradizionalista (ratzingeriana, diremmo) che vede il cristianesimo come l’esclusiva via di salvezza, e così, assurdamente, verrebbe ad escludere da essa la stragrande maggioranza del mondo che non crede né in Cristo né in Dio.  

È fin troppo facile osservare che non è corretto dedurre che, siccome la salvezza dell’umanità passa da Cristo, la religione o la professione di fede cristiana sia la sola via di salvezza. E non perché la religione cristiana non basti a salvare, ma perché Cristo trova anche infinite altre vie di salvazione, anche se non sono intestate al suo nome. E l’ha manifestato espressamente, ad es., nel cap.25 di Matteo, quando afferma che chi ospita il forestiero, chi veste il nudo, chi visita l’ammalato e il carcerato, chi ha dato da mangiare all’affamato e da bere all’assetato, questi viene a salvarsi nel nome di Cristo pur senza saperlo: “In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40).

Allora, come non basta dirsi cristiani se non si fa la volontà di Cristo, così si può essere cristiani senza dirsi cristiani. E questo è ciò che in parte consola l’angoscia che assale noi, fedeli praticanti anziani, quando vediamo le chiese vuote: speriamo infatti che anche per altre vie l’umanità (e in specie i giovani) del nostro tempo sia toccata da  Cristo. 

Gesù stesso aveva già prevista, come un carattere tipicamente escatologico, una situazione di distacco tra valori cristiani e fede: “il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8). Era il dramma che – stando a quel che racconta J.Guitton – tormentava la vecchiaia di Paolo VI, che vi vedeva anticipati i tratti del secolarismo debole. Certo: può essere anche consolante constatare che i valori cristiani ormai sono trasferiti nel panorama mondano e, diventati valori pubblici, non si àncorano più alla fede, ma sono, appunto, decisamente “umani”; e tuttavia esistenti: valori senza fede, ma non spariti. 

In attesa che la Chiesa parli di politica negli incontri di spiritualità

Ma la Chiesa ha il compito di riflettere su quei valori di costruzione del mondo a misura umana e di restituire quel collegamento con la fede che ora latita. Non è solo una questione di rispetto del divino che li fonda: che sarebbe già un “santificare” il nome di Dio, come chiediamo nel Padre nostro. Ma anche il modo per rendere pieni e fecondi quei valori, facendo vedere come Cristo li ha realizzati impedendone la dissoluzione, e come ne procuri l’esaudimento a chi lo chiede insistentemente nella fede: “Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui, e li farà a lungo aspettare? Vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18.7-8). L’antico apologista scriveva: ”I Cristiani: sono trattenuti come in una prigione nel mondo, eppure sono essi che sostengono il mondo” (A Diogneto, 6,7).  La Chiesa è chiamata a tener viva quella fede a cui è promessa la pronta realizzazione.

Entrambi, sia mons.Repole sia Mancuso, ritengono, con un certo ottimismo, che la domanda di senso sia diffusa (tra i giovani) e che la causa della disaffezione stia in una frattura tra proposta religiosa e domanda spirituale contemporanee. Il sociologo Garelli peraltro è scettico sulla esistenza della qualità di tale domanda spirituale contemporanea, che si manifesta piuttosto in forme generiche di stare bene con se stessi, con gli altri e con la natura, non certo in richieste di fondamento ultimo o, men che meno, di fede. 

Noi siamo convinti che non manchino nella Chiesa cammini di spiritualità. Forse per certi aspetti sono ancora abbondanti. Quelli che mancano sono cammini di una spiritualità, diremmo, vitalistica, cioè capaci di fare sprigionare il protagonismo – specie giovanile -, sia nel modo relazionale, e non solo logico-verbale, di esercitarlo, tipico dei giovani d’oggi, sia nei loro obiettivi (che siano quelli essenziali della contemporaneità). Cammini che non si limitino a riproporre con tecniche comunicative aggiornate le strade della formazione spirituale intimistica di un tempo, ma facciano vedere quali sono oggi le poste in gioco dell’umano che rendono adulta e utile la fede. I teologi moralisti hanno recentemente posto sul tavolo alcune grandi questioni del futuro: rapporto col cosmo; popolazione del mondo e immigrazioni; guerra; inquinamento; povertà; vita e morte; intelligenza artificiale. Manca, ma tutti li comprende, la questione della politica. Quante volte sono posti questi temi nei nostri attuali incontri di spiritualità?

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