
La Chiesa di Pietro non è mai stata una comunità tranquilla. Appena venti/trent’anni dalla morte in croce di Gesù Cristo, Pietro e Paolo si scontrarono – dopo il cosiddetto incidente di Antiochia, di cui riferisce la Lettera ai Galati 2, 11-14 – a Gerusalemme per decidere, una volta per tutte, se i Gentili convertiti alla dottrina di Gesù dovessero sottoporsi alle leggi di Mosè, tra cui la circoncisione. La discussione fu aspra, come si evince da Atti 15, 1-19: “seditione non minima”, dice il testo con evidente understatement. Un primo gruppo di cristiani giudaizzanti se ne andrà per conto proprio, non condividendo la svolta epocale di Paolo, che riferisce: “hanno riconosciuto che mi era stato affidato il Vangelo per gli incirconcisi”.
Non è stato che l’inizio, lungo i duemila anni.
Nessuna meraviglia, dunque, che anche la Chiesa di Papa Francesco sia attraversata da conflitti, contestazioni, lotte di potere feroci e che il Papa personalmente ne sia il bersaglio. Bergoglio? Comunista, globalista, populista, peronista, rivoluzionario, conservatore, eretico, antipapa, gesuita, qui inteso come insulto… E ancora: incerto, decisionista, chiacchierone, ambiguo, centralista…
Donde deriva tanta aggressività?
Dal fatto che l’Europa, conquistata nel giro di un millennio al Cristianesimo, se ne sta congedando: le chiese sono sempre più vuote, i seminari chiudono i battenti, nei confessionali non si raccontano più i “peccati”.
Come sottolinea Pierre Manent, professore di Filosofia politica presso l’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi: “Gli Europei non sanno cosa pensare né che fare del Cristianesimo”. Il Cristianesimo e, quindi, la Chiesa – non esisterebbe il Cristianesimo senza la Chiesa – non sono più considerati dalla maggioranza delle persone, in Italia e in Europa, come strumenti per capire il mondo e per vivere nel mondo. Tampoco ai fini della salvezza.
L’Occidente si sta congedando dal Cristianesimo
Quale, d’altronde?! Siamo tutti convinti di essere già stati salvati da noi stessi. La sintesi culturale e spirituale di Gerusalemme, di Atene, di Roma si sta disintegrando. Lo aveva denunciato Papa Benedetto XVI nel discorso tenuto nell’Aula Magna dell’Università di Regensburg il 12 settembre 2006, quando aveva descritto le tre ondate delle “de-ellenizzazione” del Cristianesimo: a) la Riforma protestante, che voleva liberare la fede dalla metafisica greca, affermando il principio esclusivo della “Sola Scriptura”; b) la teologia liberale di Adolf von Harnack, che, muovendo in senso opposto a quello di Lutero, intendeva togliere a Gesù la veste semitica della “Sola Scriptura” per fagli indossare quella socratica del filosofo morale; c) la cultura ecumenico-globalista, per la quale il messaggio del Nuovo Testamento deve essere “es-culturato” dall’ellenismo e “in-culturato” nelle varie culture mondiali.
Di queste Samuel P. Huntington aveva compilato nel 1993 su “Foregn Affairs”, in polemica con F. Fukuyama – che si illudeva circa una generale globalizzazione liberaldemocratica post-guerra fredda – un elenco: Cristiano-occidentale, Cristiano-orientale, Latino-americana, Islamica, Indù, Cinese, Giapponese, Buddista, Africana.
Secondo lo studioso lo studioso americano, si era messo in movimento un processo di “de-occidentalizzazione”, che la crescita demografica, lo sviluppo economico e la modernizzazione tecnologica avrebbero accelerato. Diversamente da quanti prevedevano che la globalizzazione a guida occidentale avrebbe indotto un’analoga occidentalizzazione dei valori, Huntington sosteneva che “l’ulteriore modernizzazione finisce con l’alterare gli equilibri di potere tra l’Occidente e le società non occidentali, alimenta il potere e l’autostima di quelle società e rafforza in esse il senso di appartenenza alla propria cultura”.
Quali che ne siano le cause, il dramma dell’apostasia europeo-occidentale ci riguarda tutti, credenti o cristiani anonimi o non credenti.
Ci riguarda, perché la storia del Cristianesimo e della Chiesa incrocia in profondità, qui in Occidente, la nostra storia collettiva e le nostre esistenze. Il Cristianesimo – e le religioni storiche pre/post-cristiane – ha risposto a due tipi di bisogni umani, che l’evoluzione della specie “sapiens” ha prodotto. Il primo è “il bisogno metafisico”: la domanda di dare un senso alla propria finitudine, al dolore, al negativo, al male, alla morte. Possiamo stordirci fin che vogliamo e distrarci in mille modi, ma questa è una domanda che scorre come la lava sotto la nostra crosta quotidiana più dura. E’ il bisogno di trasformare “il caso”, in cui siamo stati gettati come i dadi, in un “destino” scelto.
Il secondo tipo di domanda/bisogno è quella dei legami comunitari e sociali. E’ una domanda etica: su quale tavola di valori teniamo insieme le relazioni, le comunità umane, le società? E’ il bisogno di trasformare il “caos” in “cosmos”, di costruire isole di ordine nel disordine dell’entropia.
Le religioni sono in crisi ma i non credenti faticano “produrre senso in casa propria”
La religione risponde a queste domande antropologiche essenziali. E se i non credenti “non credono” che le religioni siano state rivelate da quel Dio che esse stesse “rivelano” e che, pertanto, la religione sia soltanto una costruzioni storico-sociale, non perciò se la cavano facilmente a “produrre senso in casa propria”, come direbbe Habermas. Il quale non nutre affatto l’illusione che i valori cristiano-liberali continueranno a fluire nelle nostre società europee, se la sorgente cristiana originaria si ridurrà ad un rigagnolo. Certo è che l’itinerario storico e personale dal “caso” al “destino”, dal “caos” al “cosmos” appare piuttosto tormentato. Se il “bisogno religioso” è una costante antropologica, il Cristianesimo è qui in Europa la risposta storica.
Papa Francesco, “venuto dalla fine del mondo” –da quello “non cristiano-occidentale” della cultura latino-americana – si è trovato ad affrontare la de-occidentalizzazione prevista di Huntigton e la de-ellenizzazione denunciata da Papa Benedetto XVI. Papa Francesco ha provato a rilanciare lo spirito del Concilio Vaticano II: uscire incontro al mondo. L’Umanesimo e il Rinascimento avevano aperto, sei secoli fa, le prime fratture tra il mondo e la Chiesa, che il ‘600 scientifico, il ‘700 illuministico, l’800 hegelo-marxiano e darwiniano allargarono a dismisura. La Chiesa si chiuse tra le sue mura con il Concilio di Trento (1545-1563), con il Sillabo del 1864, con Concilio Vaticano I (1869-1870).
La Chiesa si apre al mondo. In ritardo. E diventa voce che grida nel deserto
Quando ha tentato, tardivamente, una sortita con il Concilio Vaticano II (1962-1965), non ha più trovato nemici che la assediassero, ma il deserto degli indifferenti. Il Concilio non ha fermato la secolarizzazione. E quando Giovanni Paolo II, anche lui “chiamato da un Paese lontano”, il 22 ottobre 1978 gridò dall’alto della Loggia di San Pietro: “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!”, neppure a lui la sua Polonia cattolicissima diede ascolto. Anzi, secondo un’aggressiva corrente tradizionalista, il Vaticano II avrebbe spalancato la strada alla secolarizzazione. I cinque Papi del dopo-Concilio si sono trovati su questo drammatico crinale come “vox clamantis in deserto”.
Ora, in questo inizio di terz o millennio i processi di globalizzazione economica e culturale, le nuove tecnologie dell’informazione, l’Intelligenza artificiale e l’ingegneria genetica… stanno sottoponendo a rapida usura le istituzioni, le culture, le tradizioni, le religioni. Ne è coinvolta anche la Chiesa cattolica. Di fronte a queste sfide della storia, pare dubbio che la Chiesa se la possa cavare soltanto con la sinodalità, tanto più rimanendo una struttura verticale-monarchica, o con il sacerdozio femminile o con l’abolizione del celibato dei preti… benché possano essere, forse, passi necessari.
Alla fine, ai credenti, ai cristiani anonimi, ai non-credenti, appare eroica e necessaria la traversata del deserto di Papa Francesco. Diversamente dal suo ultimo predecessore, che è entrato in alta competizione teologica con le filosofie del mondo, egli spinge i Cristiani a vivere la Chiesa come “un ospedale da campo”, come un posto dove si curano le ferite che il divenire storico infligge al tessuto esistenziale e a quello collettivo.
La Provvidenza non è un quieto riparo rispetto alla storia del mondo
Non che Francesco sia agnostico sul piano dottrinale, ma non crede che sia lì che si gioca, oggi, il futuro della Chiesa. È nello slancio comunitario e missionario che si decide, come spiega nella Evangelii Gaudium. Donde le posizioni “politiche” sulla pace e la guerra, sulla fratellanza universale, sulle periferie esistenziali, sulla difesa della terra, della vita e della corporeità umana…
Da lì rifiorirà la fede cristiana? Forse. Le religioni nascono e muoiono: si tratta di vedere se il Cristianesimo continuerà ad essere in grado di rispondere al bisogno religioso che evolve, e se la Chiesa sarà in grado di stare all’altezza del nuovo Cristianesimo che si annuncia.
La Provvidenza non è un quieto riparo rispetto alla storia del mondo. D’altronde, lo stesso Cristianesimo quale nuova religione è insorto dal crogiolo delle imponenti trasformazioni sociali, culturali e spirituali dell’Ellenismo, all’incrocio tra l’India, il Medioriente e il Mediterraneo, che la globalizzazione politica di Alessandro Magno, morto nel 323 a. C., aveva innescato e messo in comunicazione reciproca.
La posta in gioco continua ad essere quella di difendere e di far crescere l’umano nell’uomo. Senza il Cristianesimo sarebbe molto più difficile.
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